18 LUGLIO, OMAGGIO A EASYSNOB PICCOLO VISIONARIO
18 luglio, omaggio a Easysnob piccolo visionario.
Da bambino, quando usciva da scuola, appena mangiato si ritirava in un piccolo spiazzo erboso nel mezzo del bosco vicino casa. Non vedeva l'ora di quel momento della giornata, li dominava il silenzio, e non esisteva affatto la noia e mentre la fantasia correva in tante direzioni, contemporaneamente collocava le cose sentite in classe in una specie di magazzino disordinato dove le ritrovava ogni volta gli venivano chieste o che gli servivano. Era quello il suo pc, era quella la "scrivania" primordiale, ed era quello il posto senza tempo se non il tempo dell'immaginazione diffusa. Fino ai tredici anni, Easysnob non era mai uscito dalla valle del Tevere, il suo mondo comprendeva il bosco, i cavalli, i cani, le mucche, la valle che scendeva verso il Tevere, il monte Soratte con le sue storie di frati e streghe, paesani beoni e ciarlieri, tutto si mescolava nel piccolo borgo di Forano, il suo mondo non comprendeva altro. Ma c'era la fantasia che era smisurata, e non c'era una Tv che la limitasse. Si estraniava nell'immaginare quella metropoli enorme e sconosciuta, di cui spesso aveva sentito parlare, quella specie di organismo vorace e onnivoro, fatto di ferro, cemento, uomini, cani, e auto squinternate dai troppi urti. Volava con la fantasia, augurandosi di crescere in fretta, di diventare un adulto, di viaggiare, e un giorno forse di poterla vedere. Era un pensiero eccitante e travolgente, eppure, ogni sera, alla fine dei racconti immaginari, rimaneva confuso e sbigottito a guardare cenere e braci nel camino. Perché, se da una parte quelli di casa descrivevano meraviglie mai viste, dall'altra gli elencavano stupidaggini senza senso, che Easysnob, allevato tra gli animali, nel bosco, nel "fosso" dove di nascosto faceva il bagno, non riusciva a capire bene, le filtrava con rigore, non si fidava né di uomini né delle donne. Gli sembrava, pur senza farlo vedere, che gli adulti di casa temessero la città o ne temessero tutti quegli abitanti chiassosi in continuo movimento. Lui "vedeva" palazzi enormi, luci tanto potenti da illuminare le strade di notte, case riscaldate da qualcosa di inestinguibile, treni veloci, treni sotterranei che non si fermano e che spostano la gente ovunque, ed erano milioni di persone, non qualche centinaio come nella processione, ma migliaia e migliaia di persone. Il solo pensiero di quella enorme massa in movimento lo spaventava, ma la curiosità insisteva con l'ostinazione di quelli che non ammettono esitazioni, e lui era impaziente di conoscere una grande città. Roma. Easysnob pensava a quei milioni di donne e uomini in movimento e che tutto insieme, la sera, si rinchiudevano in appartamenti costruiti come alveari. Se c'è la luce vuol dire che deve per forza esserci anche il fuoco, pensava. La sua casa ancora non aveva una luce senza fuoco, non aveva acqua calda in inverno senza fuoco. Il fuoco è la vita pensava, e quanta legna avrebbe consumato una grande città come Roma. Poi c'erano le automobili, sparse in ogni angolo. Poi il cibo. A questo punto Easysnob smetteva di immaginare la grande città, l'idea che gli si presentava davanti non gli piaceva: quanti vitelli occorreva ammazzare per sfamare una città come Roma. Quanti cani ci sarebbero stati a raccogliere gli scarti di cibo. Quanti agnelli sarebbero morti nei mattatoi di Roma. Smettere di pensare era per lui un soluzione urgente, la città grande lo affascinava, non vedeva l'ora di vederla, ma allo stesso tempo pensava che era assurdo costruire una città dove venivano buttate via tonnellate di cibo avanzato. Era stupido, com'è possibile che fosse permesso di buttare il cibo. Per Easysnob era difficile trovare una risposta, intorno alla sua casa tutto era piccolo e organizzato, uomini, cose e animali avevano un ruolo misurato. Una città è enorme e disumana, pensava. Perché vengono costruite le città? Forse è il posto dove tutti stanno vicini per trovare reciprocamente coraggio, difronte alle guerre e alla morte? A Forano, nel suo piccolo borgo, c'era un gigantesco monumento ai caduti con tanti nomi di soldati morti che testimoniavano l'immensa tragedia di un decennio addietro, quella testimonianza era vera, i soldati erano morti veri, ma dei racconti dei foranesi non si fidava. Gli sembrava che essi nei racconti "eliminavano" la paura, ogni racconto esaltava cose futili ma mai si soffermava sul dolore che in abbondanza traspariva dalle facce. Forse diventando adulti aumenta la paura della morte? Easysnob si addormentava tranquillo con il pensiero ricorrente che se gli abitanti di Forano fossero assaliti da una grande paura, essi scapperebbero verso Roma, perché è nella grande città le persone si ammassano per ritrovare coraggio e vincere ogni paura.
Da bambino, quando usciva da scuola, appena mangiato si ritirava in un piccolo spiazzo erboso nel mezzo del bosco vicino casa. Non vedeva l'ora di quel momento della giornata, li dominava il silenzio, e non esisteva affatto la noia e mentre la fantasia correva in tante direzioni, contemporaneamente collocava le cose sentite in classe in una specie di magazzino disordinato dove le ritrovava ogni volta gli venivano chieste o che gli servivano. Era quello il suo pc, era quella la "scrivania" primordiale, ed era quello il posto senza tempo se non il tempo dell'immaginazione diffusa. Fino ai tredici anni, Easysnob non era mai uscito dalla valle del Tevere, il suo mondo comprendeva il bosco, i cavalli, i cani, le mucche, la valle che scendeva verso il Tevere, il monte Soratte con le sue storie di frati e streghe, paesani beoni e ciarlieri, tutto si mescolava nel piccolo borgo di Forano, il suo mondo non comprendeva altro. Ma c'era la fantasia che era smisurata, e non c'era una Tv che la limitasse. Si estraniava nell'immaginare quella metropoli enorme e sconosciuta, di cui spesso aveva sentito parlare, quella specie di organismo vorace e onnivoro, fatto di ferro, cemento, uomini, cani, e auto squinternate dai troppi urti. Volava con la fantasia, augurandosi di crescere in fretta, di diventare un adulto, di viaggiare, e un giorno forse di poterla vedere. Era un pensiero eccitante e travolgente, eppure, ogni sera, alla fine dei racconti immaginari, rimaneva confuso e sbigottito a guardare cenere e braci nel camino. Perché, se da una parte quelli di casa descrivevano meraviglie mai viste, dall'altra gli elencavano stupidaggini senza senso, che Easysnob, allevato tra gli animali, nel bosco, nel "fosso" dove di nascosto faceva il bagno, non riusciva a capire bene, le filtrava con rigore, non si fidava né di uomini né delle donne. Gli sembrava, pur senza farlo vedere, che gli adulti di casa temessero la città o ne temessero tutti quegli abitanti chiassosi in continuo movimento. Lui "vedeva" palazzi enormi, luci tanto potenti da illuminare le strade di notte, case riscaldate da qualcosa di inestinguibile, treni veloci, treni sotterranei che non si fermano e che spostano la gente ovunque, ed erano milioni di persone, non qualche centinaio come nella processione, ma migliaia e migliaia di persone. Il solo pensiero di quella enorme massa in movimento lo spaventava, ma la curiosità insisteva con l'ostinazione di quelli che non ammettono esitazioni, e lui era impaziente di conoscere una grande città. Roma. Easysnob pensava a quei milioni di donne e uomini in movimento e che tutto insieme, la sera, si rinchiudevano in appartamenti costruiti come alveari. Se c'è la luce vuol dire che deve per forza esserci anche il fuoco, pensava. La sua casa ancora non aveva una luce senza fuoco, non aveva acqua calda in inverno senza fuoco. Il fuoco è la vita pensava, e quanta legna avrebbe consumato una grande città come Roma. Poi c'erano le automobili, sparse in ogni angolo. Poi il cibo. A questo punto Easysnob smetteva di immaginare la grande città, l'idea che gli si presentava davanti non gli piaceva: quanti vitelli occorreva ammazzare per sfamare una città come Roma. Quanti cani ci sarebbero stati a raccogliere gli scarti di cibo. Quanti agnelli sarebbero morti nei mattatoi di Roma. Smettere di pensare era per lui un soluzione urgente, la città grande lo affascinava, non vedeva l'ora di vederla, ma allo stesso tempo pensava che era assurdo costruire una città dove venivano buttate via tonnellate di cibo avanzato. Era stupido, com'è possibile che fosse permesso di buttare il cibo. Per Easysnob era difficile trovare una risposta, intorno alla sua casa tutto era piccolo e organizzato, uomini, cose e animali avevano un ruolo misurato. Una città è enorme e disumana, pensava. Perché vengono costruite le città? Forse è il posto dove tutti stanno vicini per trovare reciprocamente coraggio, difronte alle guerre e alla morte? A Forano, nel suo piccolo borgo, c'era un gigantesco monumento ai caduti con tanti nomi di soldati morti che testimoniavano l'immensa tragedia di un decennio addietro, quella testimonianza era vera, i soldati erano morti veri, ma dei racconti dei foranesi non si fidava. Gli sembrava che essi nei racconti "eliminavano" la paura, ogni racconto esaltava cose futili ma mai si soffermava sul dolore che in abbondanza traspariva dalle facce. Forse diventando adulti aumenta la paura della morte? Easysnob si addormentava tranquillo con il pensiero ricorrente che se gli abitanti di Forano fossero assaliti da una grande paura, essi scapperebbero verso Roma, perché è nella grande città le persone si ammassano per ritrovare coraggio e vincere ogni paura.