DISCORSO SULL'IO E L'IMPORTANZA DEI RAPPORTI AFFETTIVI.
Discorso sull'Io e l'importanza dei rapporti affettivi.
Oggi non parlerò del covid se non indirettamente, ma del nostro Io (ovvero "il mostro di tutti i tempi" come lo ha definito Walerian Borowczyk). L'Io, il mostro, è sempre centrale tutti i giorni, anche durante le guerre, durante le pandemie, in pace, mentre facciamo i turisti, quando andiamo a teatro, mentre amiamo, ecc, ecc. Per esigenze di chiarezza prendo in prestito alcune terminologie di Massimo Recalcati e altre di Eugenio Scalfari che spero non si incazzeranno. Parto però da un principio. Il Coronavirus non aggredisce le auto, i treni, gli aerei e così via, aggredisce il nostro corpo ma anche quello che ci sta dentro, colpisce il nostro Essere umani. Da cosa si alimenta, da cosa è animato o attratto il nostro Essere? Dalla terra, il sole, la luna, l’Io e naturalmente anche Dio e tutti gli elementi universali così come noi li concepiamo, esistenti o inesistenti, amici o avversari, dominanti o subordinati, è animato da altre forze che a volte conosciamo e altre volte ci limitiamo a supporne l’esistenza. Siamo animati da moltissime logiche di potere. L'Io è potente e anche una brutta bestia. Ognuno di noi è un professionista nell'adorazione e ammirazione del proprio Io. Egli ti attacca dentro le emozioni, ti bastona nel cervello, è perennemente in subbuglio dentro l'involucro dove lo teniamo rinchiuso, ci picchia da dentro. Vuole essere preso in considerazione, vuole essere presente, vuole essere ammirato, idolatrato, viziato. E da chi vuole questo? Ma da noi naturalmente, non da altri e noi muoriamo dalla voglia di ammirarlo, siamo venuti al mondo per questo scopo e non c'è cosa che ci riesca meglio che fare questo. Perché questa enfasi sull'Io, perché nella terra sovraffollata ognuni di noi è intento a tessere le lodi del proprio Io, mettiamo la maggior parte delle nostre energie a carezzare, vezzeggiare, applaudire, propagandare la nostra immagine. Sappiamo fare i falegnami, gli astronauti, gli inventori, gli scrittori, i filosofi, ma quello che sappiamo fare meglio e con grinta è propagandare noi stessi. E' il desiderio di espansione di Nietzsche. Questo preambolo era necessario perché in questi giorni sento elencare i "bisogni primari": cibo, sesso, vestiti, sport amatoriale, impegno lavorativo. Ma niente è più sbagliato di un elenco del genere. Il solo, unico bisogno primario è quello di autoammirarsi, stare difronte agli altri per distinguersi. E' un bisogno che non trova mai sazietà, né si interrompe per qualche istante ed è presente in tutte le questioni che coinvolgono noi e i protagonisti dell'emergenza Covid, un coinvolgimento di grande responsabilità. Consulenti, giornalisti, medici, politici, posteristi, malati guariti, pseudomalati, ci ricordano in ogni apparizione, azione o comparsata, come il bisogno di ammirarci controlla e condiziona tutti i comportamenti e ogni nostra scelta. Il paradosso dei paradossi è che se qualcuno ci chiede conto di questo, siamo pronti a spergiurare negando con veemenza che questo sia vero. Neghiamo che questo sia il motore di tutte le passioni, degli amori, degli odi che abbiamo dentro, delle paure che abbiamo dentro il nostro animo. Quello che sto per affermare attirerà ire da tante parti, ma io sono daccordo con Recalcati, Scalfari, e i defunti Saramago e Eco, che da qui nasce la morale. Il sentimento morale come effetto dell'amore per noi stessi. Il sentimento morale si eleva e si degrada come risvolto del più radicato e permanente egoismo. Anche quello che sto facendo (scrivendo) rappresenta un motivo in più per ammirarmi. Rappresenta l'occasione per abbellirmi e questa bellezza maggiore mi rende un più alto livello di moralità. La vera competizione è del nostro Io contro il resto del mondo. Questo "mostro" varia da individuo a individuo e si nutre dell'intensità degli impulsi, o anche dalla qualità del sangue che ci scorre nelle vene, da qui nascono le differenze tra individui e da qui si affermano le logiche di potere tra le diverse umanità. Se qualcuno mi tratta male non chiedo il perché, chiedo dove si trova la sua umanità, a quale livello etico egli appartiene. Questo nostro "padrone" è il responsabile dei nostri pensieri, quante volte ne scacciamo alcuni che ci spaventano, Lui per farsi bello sarebbe capace di farci compiere azioni orribili, di farci pensare cose brutte, altre volte ci fa pensare al bello, ed ecco che che produciamo azioni affascinanti, perché il padrone è un despota e artefice della nostra ambiguità. E' qui che torniamo a parlare dei giorni del Covid. Temiamo la morte? Certo ci spaventa, chi non la teme? Cerchiamo di scordarcene, non ci riguarda, cadono accanto a noi altre vite, che importa abbiamo pietà, ci commoviamo per un istante se abbiamo un vuoto di pensieri per soffernarci. Il padrone vuole che pensiamo in grande, dobbiamo sentirci immortali, in fondo è lui che ci impone un'idea di un dio, noi invecchiamo, i nostri corpi non ce la fanno più, ma il "padrone" è li a dirci di andare avanti, sempre più avanti. E' tanta la paura della morte, che per allontanarcene dobbiamo dimostrare ogni giorno di essere immortali. Quanta energia sviluppa il pensiero della morte. Accade talvolta, nei rapporti tra le persone che vi sia un immedesimarsi reciproco, un desiderio e anzi un bisogno di capire e di esser capiti, essere devoti e ricevere devozione. In questi casi, il "mostro di tutti i tempi" diventa più docile. In verità ci accade una o due volte nella vita, perché la paura di darsi è di solito assai più forte del coraggio di aprirsi. La non accettazione di mettere in gioco se stessi, la non disponibilità al cambiamento, sono più semplici da vivere, ma quando accade il contrario, quando rischiamo per migliorare le nostre vite, ecco che il padrone diventa meno esigente, le logiche di potere restano eluse, diventa impossibile distinguere chi domina da chi è dominato, chi possiede da chi è posseduto, chi cattura da chi è catturato. Se il desiderio è sincero, se il bisogno di vivere è intenso, il gioco del vincitore e del vinto non ha luogo. Per conseguenza posso affermare che la vera forza che abbiamo contro la paura della morte, contro l'Io bestiale, è una potente avventura sentimentale, è un livello profondo di scambio affettivo, è entrare in un campo di creatività e mutazione. Peccato che accada di rado e ancora peccato che si interrompe per l'incapacità dei protagonisti di accettare il cambiamento e la moderazione dei propri egoismi. Personalmente ho avuto la fortuna due volte nella mia esistenza di vivere momenti di grande profondità affettiva e di espansione creativa. E' questo il primo bisogno ai tempi del Covid e della lunga segregazione in cui ci ha costretto.
Oggi non parlerò del covid se non indirettamente, ma del nostro Io (ovvero "il mostro di tutti i tempi" come lo ha definito Walerian Borowczyk). L'Io, il mostro, è sempre centrale tutti i giorni, anche durante le guerre, durante le pandemie, in pace, mentre facciamo i turisti, quando andiamo a teatro, mentre amiamo, ecc, ecc. Per esigenze di chiarezza prendo in prestito alcune terminologie di Massimo Recalcati e altre di Eugenio Scalfari che spero non si incazzeranno. Parto però da un principio. Il Coronavirus non aggredisce le auto, i treni, gli aerei e così via, aggredisce il nostro corpo ma anche quello che ci sta dentro, colpisce il nostro Essere umani. Da cosa si alimenta, da cosa è animato o attratto il nostro Essere? Dalla terra, il sole, la luna, l’Io e naturalmente anche Dio e tutti gli elementi universali così come noi li concepiamo, esistenti o inesistenti, amici o avversari, dominanti o subordinati, è animato da altre forze che a volte conosciamo e altre volte ci limitiamo a supporne l’esistenza. Siamo animati da moltissime logiche di potere. L'Io è potente e anche una brutta bestia. Ognuno di noi è un professionista nell'adorazione e ammirazione del proprio Io. Egli ti attacca dentro le emozioni, ti bastona nel cervello, è perennemente in subbuglio dentro l'involucro dove lo teniamo rinchiuso, ci picchia da dentro. Vuole essere preso in considerazione, vuole essere presente, vuole essere ammirato, idolatrato, viziato. E da chi vuole questo? Ma da noi naturalmente, non da altri e noi muoriamo dalla voglia di ammirarlo, siamo venuti al mondo per questo scopo e non c'è cosa che ci riesca meglio che fare questo. Perché questa enfasi sull'Io, perché nella terra sovraffollata ognuni di noi è intento a tessere le lodi del proprio Io, mettiamo la maggior parte delle nostre energie a carezzare, vezzeggiare, applaudire, propagandare la nostra immagine. Sappiamo fare i falegnami, gli astronauti, gli inventori, gli scrittori, i filosofi, ma quello che sappiamo fare meglio e con grinta è propagandare noi stessi. E' il desiderio di espansione di Nietzsche. Questo preambolo era necessario perché in questi giorni sento elencare i "bisogni primari": cibo, sesso, vestiti, sport amatoriale, impegno lavorativo. Ma niente è più sbagliato di un elenco del genere. Il solo, unico bisogno primario è quello di autoammirarsi, stare difronte agli altri per distinguersi. E' un bisogno che non trova mai sazietà, né si interrompe per qualche istante ed è presente in tutte le questioni che coinvolgono noi e i protagonisti dell'emergenza Covid, un coinvolgimento di grande responsabilità. Consulenti, giornalisti, medici, politici, posteristi, malati guariti, pseudomalati, ci ricordano in ogni apparizione, azione o comparsata, come il bisogno di ammirarci controlla e condiziona tutti i comportamenti e ogni nostra scelta. Il paradosso dei paradossi è che se qualcuno ci chiede conto di questo, siamo pronti a spergiurare negando con veemenza che questo sia vero. Neghiamo che questo sia il motore di tutte le passioni, degli amori, degli odi che abbiamo dentro, delle paure che abbiamo dentro il nostro animo. Quello che sto per affermare attirerà ire da tante parti, ma io sono daccordo con Recalcati, Scalfari, e i defunti Saramago e Eco, che da qui nasce la morale. Il sentimento morale come effetto dell'amore per noi stessi. Il sentimento morale si eleva e si degrada come risvolto del più radicato e permanente egoismo. Anche quello che sto facendo (scrivendo) rappresenta un motivo in più per ammirarmi. Rappresenta l'occasione per abbellirmi e questa bellezza maggiore mi rende un più alto livello di moralità. La vera competizione è del nostro Io contro il resto del mondo. Questo "mostro" varia da individuo a individuo e si nutre dell'intensità degli impulsi, o anche dalla qualità del sangue che ci scorre nelle vene, da qui nascono le differenze tra individui e da qui si affermano le logiche di potere tra le diverse umanità. Se qualcuno mi tratta male non chiedo il perché, chiedo dove si trova la sua umanità, a quale livello etico egli appartiene. Questo nostro "padrone" è il responsabile dei nostri pensieri, quante volte ne scacciamo alcuni che ci spaventano, Lui per farsi bello sarebbe capace di farci compiere azioni orribili, di farci pensare cose brutte, altre volte ci fa pensare al bello, ed ecco che che produciamo azioni affascinanti, perché il padrone è un despota e artefice della nostra ambiguità. E' qui che torniamo a parlare dei giorni del Covid. Temiamo la morte? Certo ci spaventa, chi non la teme? Cerchiamo di scordarcene, non ci riguarda, cadono accanto a noi altre vite, che importa abbiamo pietà, ci commoviamo per un istante se abbiamo un vuoto di pensieri per soffernarci. Il padrone vuole che pensiamo in grande, dobbiamo sentirci immortali, in fondo è lui che ci impone un'idea di un dio, noi invecchiamo, i nostri corpi non ce la fanno più, ma il "padrone" è li a dirci di andare avanti, sempre più avanti. E' tanta la paura della morte, che per allontanarcene dobbiamo dimostrare ogni giorno di essere immortali. Quanta energia sviluppa il pensiero della morte. Accade talvolta, nei rapporti tra le persone che vi sia un immedesimarsi reciproco, un desiderio e anzi un bisogno di capire e di esser capiti, essere devoti e ricevere devozione. In questi casi, il "mostro di tutti i tempi" diventa più docile. In verità ci accade una o due volte nella vita, perché la paura di darsi è di solito assai più forte del coraggio di aprirsi. La non accettazione di mettere in gioco se stessi, la non disponibilità al cambiamento, sono più semplici da vivere, ma quando accade il contrario, quando rischiamo per migliorare le nostre vite, ecco che il padrone diventa meno esigente, le logiche di potere restano eluse, diventa impossibile distinguere chi domina da chi è dominato, chi possiede da chi è posseduto, chi cattura da chi è catturato. Se il desiderio è sincero, se il bisogno di vivere è intenso, il gioco del vincitore e del vinto non ha luogo. Per conseguenza posso affermare che la vera forza che abbiamo contro la paura della morte, contro l'Io bestiale, è una potente avventura sentimentale, è un livello profondo di scambio affettivo, è entrare in un campo di creatività e mutazione. Peccato che accada di rado e ancora peccato che si interrompe per l'incapacità dei protagonisti di accettare il cambiamento e la moderazione dei propri egoismi. Personalmente ho avuto la fortuna due volte nella mia esistenza di vivere momenti di grande profondità affettiva e di espansione creativa. E' questo il primo bisogno ai tempi del Covid e della lunga segregazione in cui ci ha costretto.