GLI STRANIERI SIAMO NOI
Gli stranieri siamo noi.
Nella "Società liquida" del grande Bauman, leggiamo che con la crisi del concetto di comunità degli ultimi trent'anni, emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada, ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo, così Eco quando spiegava Bauman, ha minato le basi della modernità, l'ha resa fragile quindi, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Non si ha più la certezza del diritto (la magistratura è percepita come nemica). Il vero punto di riferimento non è il consumo nel suo insieme, ma la bulimia del possesso di oggetti che li rende subito obsoleti. Perché questo preambolo? Perché, unita a quella del consumo, c'è un'altra bulimia, quella della paura. Vivo in una piccola comunità, Biancade, dove in pochissimo tempo è scomparsa una decennale scala dei valori: gli schei, la parrocchia, la lega, (prima DC), lo sprizt, le sacre del rosario, le vacanze esotiche diffuse. Oggi quei valori sono spariti, servono a poco, perché più della parrocchia, della politica e degli schei, conta la salute. Ora che il Covid è così diffuso i biancadesi se ne fottono sia di Salvini, sia del prete, sia di Zaia, sia degli spritz. Stiamo vivendo il tempo della paura, la paura è seminata ovunque. In ogni caso essa ha origini da un ventennio fà, dal noto Undici Settembre 2001: economia prima difficile poi in crisi, la criminalità, le minacce globali, i disastri naturali, le scarse certezze sulla qulità dei cibi, le guerre, il terrorismo, i cambiamenti climatici, ed ora anche le epidemie. Un solo fattore fa sembrare simili queste paure la loro indeterminatezza, è impossibile confinarle, limitarle a una località anche se estesa. Tuttavia, noi ci stiamo progressivamente abituando alle paure. Perché fanno spettacolo. Ormai, sui media e, soprattutto, nei programmi tv, le tragedie personali, le storie di persone scomparse, gli omicidi irrisolti oppure risolti e terribili, sono dovunque. Fanno spettacolo. L'Osservatorio sui media di Pavia, diretto da Ilvo Diamanti, ha sempre "osservato", studiato l'evolvere di questo fenomeno e ci indica come le prime pagine dei giornali e i tg più seguiti siano sempre più affollati di notizie "ansiogene". Cattive notizie, buone per i media. Attirano l'attenzione del pubblico. La Rete ha, a sua volta, contribuito a questa tendenza. In modo esponenziale, perché agisce senza filtri. Tutti possono accedervi e la ricerca di evidenza e condivisioni spinge a superare i limiti. Così la paura è entrata nella nostra vita e vi regna sovrana, da molto prima che irrompesse il Covid. Con questo virus terribile la minaccia non ha più il volto dello straniero, del migrante, ma dell'italiano. Lombardo, veneto, emiliano, piemontese, marchigiano, ecc. Gli stranieri siamo noi. Direi "estranei" (stranieri) anche a noi stessi. Lontani dagli altri, sempre più soli. sempre più soggetti alla paura, produciamo ansia. L'abitudine di vivere uno stato di paura ci ha fatto sottovalutare il Covid, ed eccoci collegati al digitale, aggrappati ai media, perché senza gli altri rischiamo di perdere la speranza e anche noi stessi. Solo con il contatto umano ci prendiamo consistenza, solo stando vicino agli altri possiamo rafforzare la nostra sicurezza e sconfiggere la paura.
Nella "Società liquida" del grande Bauman, leggiamo che con la crisi del concetto di comunità degli ultimi trent'anni, emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada, ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo, così Eco quando spiegava Bauman, ha minato le basi della modernità, l'ha resa fragile quindi, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Non si ha più la certezza del diritto (la magistratura è percepita come nemica). Il vero punto di riferimento non è il consumo nel suo insieme, ma la bulimia del possesso di oggetti che li rende subito obsoleti. Perché questo preambolo? Perché, unita a quella del consumo, c'è un'altra bulimia, quella della paura. Vivo in una piccola comunità, Biancade, dove in pochissimo tempo è scomparsa una decennale scala dei valori: gli schei, la parrocchia, la lega, (prima DC), lo sprizt, le sacre del rosario, le vacanze esotiche diffuse. Oggi quei valori sono spariti, servono a poco, perché più della parrocchia, della politica e degli schei, conta la salute. Ora che il Covid è così diffuso i biancadesi se ne fottono sia di Salvini, sia del prete, sia di Zaia, sia degli spritz. Stiamo vivendo il tempo della paura, la paura è seminata ovunque. In ogni caso essa ha origini da un ventennio fà, dal noto Undici Settembre 2001: economia prima difficile poi in crisi, la criminalità, le minacce globali, i disastri naturali, le scarse certezze sulla qulità dei cibi, le guerre, il terrorismo, i cambiamenti climatici, ed ora anche le epidemie. Un solo fattore fa sembrare simili queste paure la loro indeterminatezza, è impossibile confinarle, limitarle a una località anche se estesa. Tuttavia, noi ci stiamo progressivamente abituando alle paure. Perché fanno spettacolo. Ormai, sui media e, soprattutto, nei programmi tv, le tragedie personali, le storie di persone scomparse, gli omicidi irrisolti oppure risolti e terribili, sono dovunque. Fanno spettacolo. L'Osservatorio sui media di Pavia, diretto da Ilvo Diamanti, ha sempre "osservato", studiato l'evolvere di questo fenomeno e ci indica come le prime pagine dei giornali e i tg più seguiti siano sempre più affollati di notizie "ansiogene". Cattive notizie, buone per i media. Attirano l'attenzione del pubblico. La Rete ha, a sua volta, contribuito a questa tendenza. In modo esponenziale, perché agisce senza filtri. Tutti possono accedervi e la ricerca di evidenza e condivisioni spinge a superare i limiti. Così la paura è entrata nella nostra vita e vi regna sovrana, da molto prima che irrompesse il Covid. Con questo virus terribile la minaccia non ha più il volto dello straniero, del migrante, ma dell'italiano. Lombardo, veneto, emiliano, piemontese, marchigiano, ecc. Gli stranieri siamo noi. Direi "estranei" (stranieri) anche a noi stessi. Lontani dagli altri, sempre più soli. sempre più soggetti alla paura, produciamo ansia. L'abitudine di vivere uno stato di paura ci ha fatto sottovalutare il Covid, ed eccoci collegati al digitale, aggrappati ai media, perché senza gli altri rischiamo di perdere la speranza e anche noi stessi. Solo con il contatto umano ci prendiamo consistenza, solo stando vicino agli altri possiamo rafforzare la nostra sicurezza e sconfiggere la paura.