LA FILOSOFIA DELLA TRADUZIONE (Di Beatrice Lavezzari)
Fino
all’Ottocento vi è stata una separazione netta fra spirito e lettera secondo
cui i significati sarebbero decisamente separabili dai segni. Secondo il De
Interpretazione di Aristotele esisterebbe un quid identico alla base del
linguaggio vale a dire che le impressioni suscitate nelle persone da questi
ultimi sarebbero uguali per tutti
mentre cambierebbero i suoni e i segni. Pensiamo, ad
esempio che nella lingua greca non esisteva un termine per indicare la
traduzione perché per i greci la loro era l’unica vera lingua quindi la civiltà
greca era monolinguista dunque impermeabile a qualsiasi contaminazione
proveniente dall’esterno. Jaques
Derrida sulle orme del De Saussure capovolge la visione aristotelica
posizionando all’origine una differenza rappresentata dalla scrittura dalla
quale scaturiscono i significati, per giungere poi all’identità dell’oggetto
che altro non è se non un’astrazione. Tale processo si può definire come
decostruzione della metafisica della presenza perché se il momento originario è
rappresentato dalla scrittura che è legata alla storicità e al tempo, allora
automaticamente la presenza verrebbe esclusa e diverrebbe una non presenza. Derrida
accoglie la pluralità delle lingue con favore in quanto ogni lingua presenta
una visione del mondo diversa quindi le lingue non possono essere perfettamente
sovrapponibili tra loro. Tuttavia nessuna lingua puo' sopravvivere restando
chiusa in se stessa quindi interviene anche l’aspetto politico in quanto sia all’interno
della lingua stessa che all’interno della traduzione è sempre presente un
rapporto con l’alterità. La traduzione mira ad essere una sintesi fra i due
aspetti e cerca di equilibrarli al meglio. Anche
Umberto Eco si è cimentato con l’analisi filosofica della traduzione nel suo
libro “Dire quasi la stessa cosa” in quanto la traduzione è dire quasi la
stessa cosa in un’altra lingua, all’apparenza. Il grande pregio di Eco,
scrittore, traduttore, tradotto da altri in tutto il mondo, è stato il suo
grande approccio pratico e non a caso il sottotitolo del suo libro è
“esperienze di traduzione” proprio nella misura in cui ogni traduzione
rappresenta un’esperienza a sé. Naturalmente
tradurre significa anche rispettare determinati suoni e ritmi tentando di suscitare nei lettori di diverse aree
geografiche le medesime reazioni. La traduzione non è, però, un atto di estrema libertà. Le frasi
idiomatiche, le espressioni colloquiali, i giochi di parole, le metafore e le
locuzioni della lingua di partenza devono trovare dei corrispettivi credibili
anche nella lingua di arrivo, operazione, questa, assai complessa. Il caso delle “belle infidèles” denota la possibilità di muoversi con una
certa libertà all’interno di una traduzione al fine di renderla più credibile
ai fruitori nella lingua di arrivo stravolgendo talvolta eccessivamente i
contenuti del testo di partenza. La traduzione risulterebbe, quindi,
un’operazione non puramente meccanica e non sarebbe mai possibile dire sempre
esattamente la stessa cosa in un’altra lingua. Sulla stessa
scorta si individuano altri saggi simili come “Lavoce del testo “di Franca
Cavagnoli nel quale si occupa della tradizione letteraria che vede come un
lavoro poliedrico che abbraccia lo studio, la ricerca, la lettura sia nella
lingua di partenza che in quella di arrivo. Naturalmente, i non addetti ai
lavori non si rendono conto di quanto lavoro possa esserci dietro la resa di una
sola frase e di quanto il ruolo del traduttore debba essere maggiormente
considerato nel panorama letterario. Cercando di
attuare una sintesi, si può affermare che traduzione e filosofia condividono
una forma di esistenza al plurale in quanto non esiste un’unica filosofia, né
un’unica traduzione, ma solo molte differenti filosofie e traduzioni. Ciò le
conduce ad assumere per la loro stessa essenza la forma della relazione e
a valicare i confini disciplinari, riempiendo in qualche modo gli spazi vuoti
lasciati nell’interazione fra i vari ambiti culturali e di espressione nel
passaggio da una lingua all’altra. Sopra: Proff. Beatrice Lavezzari (docente di lingua inglese)