L'IMMAGINARIO RUBATO (prima parte): L'ABOLIZIONE
L'IMMAGINARIO RUBATO (prima parte): L'ABOLIZIONE
Lo sentiamo nelle voci, nei comportamenti, nella fragilità nostra e degli altri: da qualche tempo l’avvenire si è guastato e, persino alle più confortevoli aree sociali, non gode affatto di buona salute. Asimov e la vecchia fantascienza ci avevano abituato a concepire il nostro cammino inarrestabile e sempre più proiettato in avanti. Tutto era esplorato, già conosciuto o esplorabile. L’aumento demografico mondiale incitava all’esplorazione senza ombra di dubbio, era una necessità. Oggi questo guardare in avanti è oppresso, soggetto a una privazione del tempo, di tempo mancante e di quello che verrà guastato da cattive condizioni di salute di tutto e di tutti i viventi. (per vivente intendiamo ogni essere presente sulla terra flora fauna, umano e non umano) In questo stato assai poco fantascientifico, voglio provare ad immaginare una città o un futuro urbano qualsiasi. Prego chi legge di essere magnanimo e comprensivo perché questo immaginare sembrerà poco serio, esso è certo degli obblighi del passato, ma quando pensa a quel che dovrà essere, eccolo rinunciatario il pensiero avanza oscillante, somiglia all’andare contro corrente con una canoa, ti viene sempre voglia di invertire la direzione (tanto la canoa ha due prue). Il pensiero del futuro oscilla tra il lasciarsi andare ai sogni ad occhi aperti e un’attenta analisi del reale, tra fantascienza, femminismo politico, fatti scientifici, fatti ecologici, attualità tragica, fino a creare le condizioni per una prosperità possibile sulla terra. Il potere neoliberista ha saputo fare suo l’immaginario legato alle conquiste dello spazio. Quindi l’immaginario è del potere! Esso guida i nostri desideri e il nostro modo di pensare il futuro. “Rioccupare l’immaginario” oggi è il compito più urgente e disperato di ognuno di noi. Anche quando pensiamo di essere riusciti a trattarla in modo sovversivo, l’immaginazione del potere guida e determina i nostri i nostri desideri, ci ha derubato del deterrente fantasia. Semplicemente per portare avanti questo argomento in maniera sovversiva siamo arrivati a una vera perversione, abbiamo scomodato: la pedagogia (Andrea Perin, Città bambina), la viabilità ecosostenibile (Askapen, Sarà una bicicletta a salvare il mondo), l’abitabilità (Stefano Portelli, Sic transit real estate), la medicina (Asantewaa Boykin, Medicina, ribellione e ricostruzione, e Hakan Geijer, Un futuro per la sanità urbana). Scomodare è dir poco, ognuna di queste personalità non la percepiamo come un ricercatore illuminato, ma ci sembra un mostro, un’entità immersa nella follia, ed è una forte sensazione di vivere una perversione. Ci vorrebbe un manuale per districarsi in queste letture, o per perdersi definitivamente. A questo punto, cercando noi stessi, occorre stabilire qualche punto fermo, occorre orientarsi: a) qualsiasi cosa accadrà, sarà all’interno di questo mondo, b) escludiamo altri mondi possibili, c) quando ci viene in mente un cambiamento radicale, arriviamo al concetto di abolizione, essa non è un punto nello spazio-tempo a cui si può arrivare, perché l’abolizione non è un risultato, è soltanto una relazione. Per fare un esempio poniamo la domanda: cosa fareste voi una volta al potere? Se dobbiamo passare all’abolizione come concetto, ecco che concepirla come una prassi relazionale significa farla finita con alcune delle nostre credenze più profonde e interiorizzate: la nostra attenzione costante verso obiettivi e risultati, l’alto valore che diamo alle figure eroiche, ai traguardi, e all’indipendenza personale a spese della collettività. Abolire politicamente la crescita economica, nel suo essere relazione, non sarà una faccenda indolore produrrà morti come una guerra. Abolire il profitto sembra impossibile. Abolire la macellazione sembra impossibile. Togliere la divisione in Stati sembra impossibile. Abolire la proprietà privata sembra impossibile. Abolire la polizia è certo un passo avanti, ma sarà anche abolire le carceri. Creare un unico Stato mondiale, è creare un ordine mondiale, ma sembra impossibile. Abolire la guerra sembra impossibile. La conseguenza di dare un ruolo politico all’abolizione è difficile da immaginare. Quando sottraggo un pensiero a una categoria con la sua logica di potere, divento libero di costruire il nuovo e mi immergo nella sovversione del presente. Morale, la nostra guerra è riappropriarsi dell’immaginario e se ora volessimo pensare di costruire una città dalla sua decostruzione, occorre tenere presente che l’immagine della futura geografia urbana dovrà essere in grado di sostenere e comprendere tutte quelle costruzioni, quei fantasmi, quelle illusioni, quelle macerie, e tutto quel vero e proprio madornale produrre che il sistema politico novecentesco ha depositato sul pianeta. Se vogliamo ridisegnare un mondo possibile, dobbiamo tener presente tutta la storia della civiltà del “capitalismo maturo” usando le parole di Giuliano Spagnul nella sua arcinota Città, fantascienza, futuro. Insomma, siamo al centro di una ricostruzione obbligata, ma non riusciamo a immaginare come essa sarà, cosa ognuno di noi diventerà, il potere ci impone il desiderio che la tecnica ha nel suo essere se stessa, la soluzione di ogni problema. Siamo continuamente istigati a crederci, ma come immaginiamo noi stessi? Continua…