L'IMMAGINARIO RUBATO: (seconda parte). Il futuro non si vede.
Alcuni di voi ricorderanno che abbiamo parlato dell’umana impotenza verso chi scatena una guerra e verso l’irreversibilità del consumo di risorse planetarie da cui scaturiscono i gravissimi problemi climatici attuali. A seguire, sulla prima parte di questo “immaginario rubato”, abbiamo argomentato di come gli scrittori di fantascienza di oggi abbiano partorito mostri troppo lontani da noi, incapaci di darci un’idea di futuro possibile e di come, l’argomento “abolizione” come deterrente di questi mali planetari, sia diffusamente usato dai media, ma certamente inapplicabile. In questa seconda parte ci soffermiamo su alcuni aspetti “nuovi” del capitalismo che conferma come esso sia autore potente di questo stato di pericolosità costante dei viventi. (Per viventi si intenda ogni organismo attivo sul pianeta terra). La percezione che abbiamo è quella che tutta l’umanità sia come un treno della Tav che sta per arrivare alla stazione di fine corsa, senza freni e lanciato a tutta velocità. Sensazione di impotenza quindi, per incapacità a immaginare alcun futuro possibile. Noi gente comune senza potere politico ed economico ci sentiamo male, abbiamo paura, possiamo solo sperare e votiamo, eleggiamo qualcuno come noi che subito dopo eletto ci tradisce, si schiera subito con quella minoranza potentissima che dice risolveremo con la tecnica. La tecnica, che risolve i problemi creati da essa stessa, non ci rassicura per niente. E’ come dare una caramella a un bambino che non mangia da quattro giorni. Nella speranza di trovare una qualche novità, un qualche appiglio a questo andamento degli ultimi decenni, ho cercato idee nuove e se non altro ho capito qualcosa in più. Ho sfogliato diversi saggi interessanti usciti negli ultimi 10 mesi (inizio della guerra in Ucraina a oggi) che analizzano la nuova situazione geo-politica e riflettono sulle possibili tendenze internazionali. Non li cito tutti perché è complicato ma elenco gli autori più significativi: Emiliano Brancaccio, Giammetti Raffaele e Stefano Lucarelli, il titolo: La guerra capitalista. Il libro è suddiviso in tre parti. La prima parte è sconcertante perché ci dimostra come Carlo Marx sia oggi al servizio del nemico storico, ovvero del capitalismo. Si signori mentre le sinistre imbarazzate dai fenomeni che hanno prodotto la disillusione verso una giustizia sociale, si sono allontanate dal marxismo, riducendolo a un reliquiario, ecco che il capitalismo fa sua la “legge di centralizzazione”, tanto cara alle sinistre europee del dopoguerra, per farne un’interpretazione assai originale. La seconda parte approfondisce l’evidenza empirica della tendenza alla concentrazione capitalistica, tale evidenza parte dall’utilizzo di moderne tecniche dei “network” proprietari, con riferimento alla proprietà azionaria. Poiché tale fenomeno interessa soprattutto gli Stati Uniti e i paesi anglosassoni oltre che Cina e Russia, l’analisi condotta mette giustamente in luce come parlare di oligarchia facendo esclusivamente riferimento alla Russia non solo è improprio ma anche fuorviante, poiché la struttura oligarchica è di gran lunga prevalente negli Stati Uniti e nei paesi Occidentali. La terza parte contiene stralci riveduti e aggiornati di interviste e articoli del solo Emiliano Brancaccio ispirati dalla guerra in Ucraina, ma centrati sulla questione più generale del rapporto tra centralizzazione del capitale e conflitto militare e sui due più importanti blocchi imperiali che emergono: da un lato, il consolidato imperialismo dei paesi debitori (Usa e Uk in testa), con al traino l’Europa, dall’altro il nascente imperialismo dei paesi creditori, a partire da Cina e India. Perché ho perso molto tempo con questo libro? Perché la tesi del libro è molto semplice e chiara. Secondo gli autori, nel capitalismo contemporaneo è ravvisabile, dati alla mano, una “legge” di tendenza verso la centralizzazione del capitale, che inevitabilmente porta alla distruzione della democrazia e fomenta la guerra. Tale lettura non è quindi allineata con le interpretazioni giornalistiche dominanti relative alla guerra in corso, che sottolineano esclusivamente l’aggressione di Putin ai danni dell’indipendenza di un stato e della sua sovranità e con ciò giustificano l’invio di armi da parte dei paesi cosiddetti “amici della democrazia” al fine di sostenere la resistenza ucraina e la sua battaglia di civiltà a favore della libertà dei popoli. Il contesto politico in cui nasce la guerra ha origini ben più profonde e complesse. Questa tesi è molto attendibile, passiamo dalla concentrazione del mercato (competizione tra forze finanziarie che tendono a impossessarsi di quote più ampie), a “centralizzazione” intesa come “conquista dei mercati”, ovvero la conquista non tanto delle quote di mercato ma della proprietà. Tale processo è analizzato con esempi nella seconda parte del libro, dove la tesi della centralizzazione viene messa alla prova dei fatti. In questa situazione completamente nuova nella storia, nemmeno le scienze umane riescono a regolarizzare gli spostamenti dei valori finanziari, proprietari, che determinano le decisioni politiche. Ecco, possiamo concludere, che l’assenza di un’idea, per quanto fantasiosa del nostro futuro, è strettamente connessa all’impotenza che colpisce noi umani. Storditi dal clamore dei media servi dei vari poteri, questo pesantissimo senso di non contare nulla, di essere un nulla, per noi comuni mortali è sempre più presente e tragico. Siamo sopraffatti dall’ineluttabilità di eventi che detestiamo. L’invadenza dei media ci ripete: la povertà sempre insanabile, la guerra sempre necessaria, i lutti delle sciagure per clima impazzito, sono elementi del vivere di oggi a cui ci stiamo abituando e adattando. E’ un vivere “disumano” che temiamo, detestiamo e condanniamo, ma non abbiamo armi per combatterlo o cambiarlo, anzi in molti modi lo alimentiamo.