L'ULTIMA ASSEMBLEA
L'ultima assemblea.
"In palestra in palestra, tutti in palestra", gridò il professore di disegno. Quella mattina si fà ricordare perché il preside di quel liceo, professor Antonini, alla conferma che tutti gli studenti si sarebbero riuniti per l'ultima assemblea studentesca di quell'anno, anticipò tutti, salì sul palco e improvvisò una specie di comizio contro coloro che avevano organizzato tale ennesimo misfatto: la quarta assemblea della storia del Liceo Gregorio Da Catino in quel di Poggio Mirteto (Rieti). Il discorso del preside lo ricordo come se avvenuto ieri e partì da lontano: <<L'egoismo è la caratteristica più affidabile della vita umana. Il politico, il soldato e il re hanno dato ordine al vostro mondo, attraverso l'astuzia e la coercizione. Abolire la coercizione significherebbe indebolire l'ordine; rendervi in grado di essere protagonisti, di fare grandi cose, malgrado siate degli incapaci, ed impedire questo, è stato ed è il mio compito qui oggi>>. Toccava al nostro Luciano iniziare l'assemblea, ma fu colpito da crampi allo stomaco udendo quelle parole vomitevoli da un rappresentante dell'istituzione scolastica, pur se non di primo piano. Nel mucchio di mezzo delle classi terza e quarta liceo si vedevano movimenti imprevisti che spingevano alcuni sulle grate di un finestrone, ci fù paura vera e un paio di ragazze da soccorrere. Nessuno fu in grado di riportare un po' di silenzio che consentisse a uno di noi organizzatori di dire qualcosa, e mentre una cinquantina di studenti si avviava decisamente verso la porta essa cedette sotto la spinta per fortuna senza che nessuno si ferì. Fu in quel momento che io e gli altri che dovevano intervenire sul palco decidemmo di spostare tutti "correndo" verso la piazza del paese a duecento metri dall'istituto, quella corsa placò gli animi e finalmente Luciano, salito sopra una panchina della piazza, poté iniziare a parlare. Durò poco arrivarono i carabinieri, probabilmente chiamati da qualche professore che si era spaventato, e visto il numero delle persone presenti, quel movimento veloce nella strada attirò molta gente. Nè seguì una specie di corteo improvvisato, visto con curiosità o per capirne le motivazioni. Arrivò don Guerino il nostro insegnante di religione, arrivò il sindaco democristiano, arrivò il capo sezione di Poggio Mirteto dell'allora Pci. Tutti presero la parola, scortati dai carabinieri e tutti spararono contro la facile strumentalizzazione degli studenti. Gli studenti, disse il sindaco, sono in balia di forze che minano la stabilità del paese. Gli studenti, disse il "console" comunista, quando hanno disinteresse per lo studio vuol dire che le istituzioni sono da cambiare. Gli studenti, disse il prete, non hanno più il senso del dovere perché contestano i sani principi della comunità religiosa. Insomma, tutti sfruttarono quel raduno per proprio utile di parte. Luciano che aveva abbozzato in piazza un serio discorso sulla riforma dell'insegnamento, fu denunciato e assolto dopo quasi dodici anni in cui fece spesso avanti e indietro in due tribunali che rivendicavano la competenza su quel raduno. Io, "fomentatore che si è salvato anche questa volta", parole del preside, mi impegnai molto per superare la maturità che sentivo in pericolo rappresaglia degli insegnanti, non avrei sopportato la sciagura di passare un sesto anno in quel liceo. Quell'assemblea, apparentemente insignificante fu teatro di tutti i misfatti tipici del tempo, proprio uno di quei momenti vertiginosi dove basta assai poco per cadere nelle trappole di un potere che paradossalmente nelle periferie del paese era molto più presente e potente che nei dintorni di Montecitorio. Fu da quelle vertigini, nausee e paure che per parecchio smisi ogni forma di partecipazione e mi sentivo come un satellite senza una rotta momentanea che voleva precipitare nella città immensa, nell'anonimato di essa, nei profumi di donne diverse per abitudini e per passioni. Fu quello il momento della ripugnanza della morale, essa mi sembrava morta annegata in un vivere civile mistificatorio e pericoloso per chi non amava essere gregge guidato da latrati e bastoni. Ancora oggi mi risuona nelle orecchie quel discorso: <<Ilpolitico, il soldato, il re... la coercizione....>>, fu salire le scale di via Gramsci a Roma, fu l'anonimato di quella grande città, fu quando entravo nelle aule di Architettura che mi sentii di nuovo in corsa, iniziai ad essere un "corsaro" irriverente che voleva con tenacia migliorarsi e migliorare chi era nei pressi. Imparavo le capacità altrui dove le intravedevo, le modellavo, le univo per accrescerle, per sorprendere ed essere sorpreso. Sopra: uno studente del liceo Da Catino.
"In palestra in palestra, tutti in palestra", gridò il professore di disegno. Quella mattina si fà ricordare perché il preside di quel liceo, professor Antonini, alla conferma che tutti gli studenti si sarebbero riuniti per l'ultima assemblea studentesca di quell'anno, anticipò tutti, salì sul palco e improvvisò una specie di comizio contro coloro che avevano organizzato tale ennesimo misfatto: la quarta assemblea della storia del Liceo Gregorio Da Catino in quel di Poggio Mirteto (Rieti). Il discorso del preside lo ricordo come se avvenuto ieri e partì da lontano: <<L'egoismo è la caratteristica più affidabile della vita umana. Il politico, il soldato e il re hanno dato ordine al vostro mondo, attraverso l'astuzia e la coercizione. Abolire la coercizione significherebbe indebolire l'ordine; rendervi in grado di essere protagonisti, di fare grandi cose, malgrado siate degli incapaci, ed impedire questo, è stato ed è il mio compito qui oggi>>. Toccava al nostro Luciano iniziare l'assemblea, ma fu colpito da crampi allo stomaco udendo quelle parole vomitevoli da un rappresentante dell'istituzione scolastica, pur se non di primo piano. Nel mucchio di mezzo delle classi terza e quarta liceo si vedevano movimenti imprevisti che spingevano alcuni sulle grate di un finestrone, ci fù paura vera e un paio di ragazze da soccorrere. Nessuno fu in grado di riportare un po' di silenzio che consentisse a uno di noi organizzatori di dire qualcosa, e mentre una cinquantina di studenti si avviava decisamente verso la porta essa cedette sotto la spinta per fortuna senza che nessuno si ferì. Fu in quel momento che io e gli altri che dovevano intervenire sul palco decidemmo di spostare tutti "correndo" verso la piazza del paese a duecento metri dall'istituto, quella corsa placò gli animi e finalmente Luciano, salito sopra una panchina della piazza, poté iniziare a parlare. Durò poco arrivarono i carabinieri, probabilmente chiamati da qualche professore che si era spaventato, e visto il numero delle persone presenti, quel movimento veloce nella strada attirò molta gente. Nè seguì una specie di corteo improvvisato, visto con curiosità o per capirne le motivazioni. Arrivò don Guerino il nostro insegnante di religione, arrivò il sindaco democristiano, arrivò il capo sezione di Poggio Mirteto dell'allora Pci. Tutti presero la parola, scortati dai carabinieri e tutti spararono contro la facile strumentalizzazione degli studenti. Gli studenti, disse il sindaco, sono in balia di forze che minano la stabilità del paese. Gli studenti, disse il "console" comunista, quando hanno disinteresse per lo studio vuol dire che le istituzioni sono da cambiare. Gli studenti, disse il prete, non hanno più il senso del dovere perché contestano i sani principi della comunità religiosa. Insomma, tutti sfruttarono quel raduno per proprio utile di parte. Luciano che aveva abbozzato in piazza un serio discorso sulla riforma dell'insegnamento, fu denunciato e assolto dopo quasi dodici anni in cui fece spesso avanti e indietro in due tribunali che rivendicavano la competenza su quel raduno. Io, "fomentatore che si è salvato anche questa volta", parole del preside, mi impegnai molto per superare la maturità che sentivo in pericolo rappresaglia degli insegnanti, non avrei sopportato la sciagura di passare un sesto anno in quel liceo. Quell'assemblea, apparentemente insignificante fu teatro di tutti i misfatti tipici del tempo, proprio uno di quei momenti vertiginosi dove basta assai poco per cadere nelle trappole di un potere che paradossalmente nelle periferie del paese era molto più presente e potente che nei dintorni di Montecitorio. Fu da quelle vertigini, nausee e paure che per parecchio smisi ogni forma di partecipazione e mi sentivo come un satellite senza una rotta momentanea che voleva precipitare nella città immensa, nell'anonimato di essa, nei profumi di donne diverse per abitudini e per passioni. Fu quello il momento della ripugnanza della morale, essa mi sembrava morta annegata in un vivere civile mistificatorio e pericoloso per chi non amava essere gregge guidato da latrati e bastoni. Ancora oggi mi risuona nelle orecchie quel discorso: <<Ilpolitico, il soldato, il re... la coercizione....>>, fu salire le scale di via Gramsci a Roma, fu l'anonimato di quella grande città, fu quando entravo nelle aule di Architettura che mi sentii di nuovo in corsa, iniziai ad essere un "corsaro" irriverente che voleva con tenacia migliorarsi e migliorare chi era nei pressi. Imparavo le capacità altrui dove le intravedevo, le modellavo, le univo per accrescerle, per sorprendere ed essere sorpreso. Sopra: uno studente del liceo Da Catino.