PENSARE LA TECNICA COME PROSECUZIONE DELLA VITA
Pensare la tecnica come prosecuzione della vita.
Qualche anno fa ho avuto la fortuna di essere in diretta a una di quelle "scuole estive" di Bernard Stiegler (non dico chi è potete cercare da soli). Le scuole estive erano organizzate a Epineuil-le-Fleuriel, nel mezzo della Francia, e da allora mi viene e rigira nella testa una sua affermazione: <<il problema non è solo che non sappiamo criticare Google, ma che è Google a criticarci>>, ossia ad analizzarci tracciando i nostri profili digitali, alimentando il diabolico sfruttamento del capitalismo digitale e la "proletarizzazione" che io, daccordo con Bernard, intendo come perdita di saperi. Perdita del saper fare, del saper dire, del saper vivere e di tutti i saperi teorici che restano tali. Google ci costringe a un nuovo tipo di miseria. Ci fa percepire inutile la nostra capacità critica, la nostra individualità dei comportamenti, rende fuori luogo ogni nostra iniziativa, annegandola nell'oceano dei comportamenti di massa. A parte l'esperienza personale individuale e non collettiva di Stiegler, (finita non troppo bene) egli ha il merito di andare oltre i limiti a cui si sono fermati Marx, Heidegger, Simondon, Foucault, Deleuze, Guattari, che sono i grandi interpreti del pensiero di questi due ultimi secoli. Radicale come il suo maestro Derrida reiterava: <<Occorre pensare la tecnica come prosecuzione della vita con altri mezzi>>. Dove tale prosecuzione è prettamente farmacologica, ovvero rimedio e veleno del nostro sentire collettivo. Affidare le nostre aspettative di vita non più all'intelligenza, allo studio, all'esperienza di anni di sviluppo delle capacità umane, ma al nichilismo del capitalismo algoritmico e demente per fare di questo uno strumento di prolungamento dell'esistenza individuale. La nostra capacità di vivere derivata dalla conoscenza non è più il nostro riferimento né la nostra risorsa individuale, oggi dobbiamo affidarci all'algoritmia delle esigenze fisiche, psichiche, culturali, alimentari. Stiegler non solo ci dato strumenti per diagnosticare il nichilismo tipico dei nostri tempi, ma anche la fuga critica e creatrice per sopravvivere al cambiamento. Questo è il patrimonio notevole che lui ci ha lasciato. Ora sta a noi lo sforzo di comprenderlo in profondità e di farlo funzionare nella pratica delle nostre esistenze, dobbiamo maneggiare le sue idee come un pharmakon, perché si realizzi davvero una maggior attesa di vita con "altri mezzi".
Qualche anno fa ho avuto la fortuna di essere in diretta a una di quelle "scuole estive" di Bernard Stiegler (non dico chi è potete cercare da soli). Le scuole estive erano organizzate a Epineuil-le-Fleuriel, nel mezzo della Francia, e da allora mi viene e rigira nella testa una sua affermazione: <<il problema non è solo che non sappiamo criticare Google, ma che è Google a criticarci>>, ossia ad analizzarci tracciando i nostri profili digitali, alimentando il diabolico sfruttamento del capitalismo digitale e la "proletarizzazione" che io, daccordo con Bernard, intendo come perdita di saperi. Perdita del saper fare, del saper dire, del saper vivere e di tutti i saperi teorici che restano tali. Google ci costringe a un nuovo tipo di miseria. Ci fa percepire inutile la nostra capacità critica, la nostra individualità dei comportamenti, rende fuori luogo ogni nostra iniziativa, annegandola nell'oceano dei comportamenti di massa. A parte l'esperienza personale individuale e non collettiva di Stiegler, (finita non troppo bene) egli ha il merito di andare oltre i limiti a cui si sono fermati Marx, Heidegger, Simondon, Foucault, Deleuze, Guattari, che sono i grandi interpreti del pensiero di questi due ultimi secoli. Radicale come il suo maestro Derrida reiterava: <<Occorre pensare la tecnica come prosecuzione della vita con altri mezzi>>. Dove tale prosecuzione è prettamente farmacologica, ovvero rimedio e veleno del nostro sentire collettivo. Affidare le nostre aspettative di vita non più all'intelligenza, allo studio, all'esperienza di anni di sviluppo delle capacità umane, ma al nichilismo del capitalismo algoritmico e demente per fare di questo uno strumento di prolungamento dell'esistenza individuale. La nostra capacità di vivere derivata dalla conoscenza non è più il nostro riferimento né la nostra risorsa individuale, oggi dobbiamo affidarci all'algoritmia delle esigenze fisiche, psichiche, culturali, alimentari. Stiegler non solo ci dato strumenti per diagnosticare il nichilismo tipico dei nostri tempi, ma anche la fuga critica e creatrice per sopravvivere al cambiamento. Questo è il patrimonio notevole che lui ci ha lasciato. Ora sta a noi lo sforzo di comprenderlo in profondità e di farlo funzionare nella pratica delle nostre esistenze, dobbiamo maneggiare le sue idee come un pharmakon, perché si realizzi davvero una maggior attesa di vita con "altri mezzi".