PENSIERI RAPIDI: Esterno notte, un grande film

PENSIERI RAPIDI: Esterno notte, un grande film

PENSIERI RAPIDI: Esterno notte, un grande film

(La fine di Aldo Moro, ed anche delle speranze della mia generazione)

Roma 16 marzo 1978, mentre percorrevo i sottopassaggi del “Muro torto” in direzione piazzale Flaminio un carabiniere alza la paletta e mi ferma per un controllo. Tutto regolare, ma era la prima volta che un mitra in dotazione alle forze dell’ordine era diretto verso di me, quando accostavo la mia auto, quando mi hanno fatto scendere, quando sono risalito per allontanarmi e continuare la mia strada. Un comportamento che mi sorprese fino a un certo punto, quella mattina il governo Andreotti si presentava in Parlamento, quella stessa mattina Aldo Moro non arriverà in Parlamento. Quella mattina cambiava la storia d’Italia, finivano tutte le illusioni della mia generazione. Perché rievoco quella storia proprio oggi? Per un film in sala di marco Bellocchio, un regista che mi ha sempre affascinato per la singolarità delle idee e chiarezza di narrazione. Torniamo per un attimo all’accaduto del 16 marzo 1978 e ai 44 anni di polemiche che seguirono. I pensieri degli italiani ruotano intorno a due domande, appartenenti a due schieramenti contrapposti: se le BR (Brigate rosse) debbano ritenersi o no un’organizzazione vera, autonoma, onestamente sincera, o se invece, era il braccio armato di un complotto di natura politico-militare. L’adesione alle BR di un insignificante quantità di italiani comunisti non può escludere l’intervento di un apparato dello Stato in grado di cogliere vantaggi, nel caos di quei giorni. Questo dilemma accompagna la mia generazione da 44 anni. Il film, “Esterno notte” di Marco Bellocchio è un’opera eccelsa e come tale ha la potenza di chiarire molti dubbi. Come tutte le opere d’arte questo film ci spiazza, ci costringe a cambiare visuale, i fatti brutali sono solo una minima parte della vicenda, l’inizio del film, l’accaduto che costituisce il presupposto indispensabile degli eventi successivi. Il grande regista pone al centro della scena non gli artefici, o i manuali del rapimento, ma un intero apparato di potere: agenti segreti, psichiatri, ministri, poliziotti, preti, faccendieri, militari, massoni piduisti. Questo “palazzo” del potere costruisce una doppia strategia, quella con Moro vivo e quella con Moro morto. Presto emerge ben chiaro che il destino del prigioniero è segnato in modo irreversibile. E’ stato condannato a morte. Il papa Paolo VI, grande amico di Moro, raccoglie oltre 10 miliardi delle vecchie lire come fondo nero di scambio con le BR, ma i generali, i comunisti, e in seconda battuta Andreotti, sbarrano la strada del riscatto. Ogni trattativa avviene dentro il palazzo del potere, senza lasciare al sequestrato alcuna possibilità di salvarsi. Chi per un motivo chi per l’altro, tutti lo vogliono ammazzato. Anche il Pontefice finisce con il rassegnarsi e rinunzia al sogno di pagare un riscatto, la famiglia Moro comprende di poter solo attendere la fine del congiunto. Una morte di Stato pianificata dalle istituzioni. Dentro il film i brigatisti ci appaiono figure irrilevanti, le scene in pubblico li mostrano indifferenti ed estranei alla realtà della popolazione metropolitana, assolutamente sganciati da qualsiasi rapporto sociale. Il film avanza verso un epilogo, a dir poco farsesco, il doppio funerale: quello privato strettamente riservato alla famiglia e quello pubblico disertato dai congiunti, senza salma, immerso nell’ipocrisia di regime. Le esequie di Stato senza il corpo di Moro segnano l’inizio delle “larghe intese” che si rileverà come periodo di transizione, cancellando di fatto le conquiste democratiche della nostra generazione, ed imponendo un nuovo ordine guidato dall’odierno capitalismo. Per un paradosso della storia, Aldo Moro l’artefice dell’ingresso comunista nella maggioranza del governo italiano, deve essere ucciso per consentire la riuscita del suo progetto, la piena adesione dell’Italia alla Nato anche con il PCI e nonostante il PCI (partito comunista italiano). Questo è un grande film davvero. E’ il film che in qualche modo difende una generazione di italiani che credeva in molti ideali, che si riconosceva nella costituzione e nei valori più elevati delle democrazie esistenti. Da democratici, ecologisti, pacifisti, animalisti, attenti alla giustizia sociale, credevano nella solidarietà tra i popoli e credevano nel valore umano degli aiuti ai più deboli. “Questa generazione ha perso” canta Gaber in una canzone, parlava esattamente di noi. Protesi verso un futuro migliore, scendevamo in piazza sempre per difendere lavoratori, difendere le fasce povere, difendere la pace, a favore dei diritti delle donne. In due tre anni, tra 1975 e 1978, quella generazione fu annientata politicamente, come gli indiani d’America è stata dissolta. L’opinione pubblica, manipolata dai media mai così concordi, ci “assemblò” al terrorismo, lo stesso terrorismo che nel film ci viene mostrato come espressione del potere politico dell’epoca. Oggi se chiedessimo ai nostri figli un’opinione sui giovani studenti di quegli anni, sui manifestanti di quegli anni, una grande maggioranza di essi risponderebbe: “erano tutti terroristi”, ma anche, “idealisti sognatori”, “hanno rovinato l’Italia”. Si, proprio così, non solo ci hanno annientato politicamente allora, ma in trent’anni di narrazioni giornalistiche, e dibattici pubblici, hanno cancellato la memoria di quegli anni, azzerato la nostra storia. Noi non siamo mai esistiti, non esistiamo, come sempre, la storia la fanno i vincitori e non chi ha ragione.