PENSIERI RAPIDI: i sabini, i romani e l'ironia
PENSIERI RAPIDI: i sabini, i romani e l'ironia
Per fare dell’ironia bisogna avere una certa padronanza del linguaggio, della mimica, e delle cose della vita. Tutti hanno sentito parlare del Ratto delle Sabine, raccontato dallo storiografo Publio Cornelio Tacito; dopo l’accordo politico tra romani e sabini, ci fu la fusione dei due popoli. Si era credo, nel 704 avanti cristo. Gli antichi sabini, che contaminarono i romani, ladri e guerrafondai con le loro naturali arti, la loquacità, l'ironia e lo “scenismo” da strada, amavano ironizzare su tutto, in ogni momento, e in ogni luogo. Oggi, come 2000 anni fa, gli abitanti della odierna Rieti, padroni del loro dialetto, interpretavano ogni azione in pubblico come un'entrata in scena o come un’esibizione in palcoscenico a sipario aperto. Alla normale predisposizione all’ironia, associavano anche un’altezzosa abitudine al contraddittorio, questo li rendeva vivaci, dissacranti, resistenti anche difronte alle sventure e agli dei. E, gli dei di allora, erano davvero importanti e onnipotenti, erano violenti nel rappresentare il bene e il male, saccenti nei dubbi, vendicativi. Da quella scuola sabina, da quella interpretazione ironica di fatti e misfatti della vita, si è formata la personalità colorita dei romani di oggi. Simpaticissimi e vistosi da lontano, nel loro avvicinarsi e presentarsi ma, insopportabili, dopo una decina di minuti di presenza ravvicinata. Questo loro modo di essere è notato per la sua visibilità e sgomenta tutti gli europei, soprattutto quelli del nord. Alcuni, che hanno avuto un breve contatto, affermano con convinzione che i romani sono simpatici, altri, che li hanno avuti vicini più a lungo pensano che siano davvero trogloditi, chiassosi, e invadenti. Certamente simpatici per una teatralità evidente sia del linguaggio che dei gesti, ma la loro grevità dei comportamenti diventa supponente per una fanciullesca presunzione di superiorità che scaturisce dalla loro lunga storia di conquistatori e invasori. <<Ahò!! Semo de Roma>> e, “tutto ci è permesso” (Siamo romani e possiamo ogni cosa). Dopo questa amena descrizione del “romano doc” torniamo all’ironia cercando di delinearne il senso con più precisione. L’ironia è prima di tutto un modo per dissentire. In una classe scolastica è la manifestazione di un dissenso senza una netta contrapposizione o rottura di una discussione e, guai se la scuola non fosse più la zona dove l’ironia abbia il diritto di risiedere. L' essere ironici è reso potente dalla facilità del linguaggio ed è direttamente legato alla cultura individuale e al saper vivere. L’ironia è connessa alla padronanza del linguaggio perché ci offre sottigliezza, schiettezza, naturalezza. Essa è sorretta dalla cultura personale, perché la varietà degli argomenti su cui ironizzare ci allontana dall’essere noiosi, (chi reitera sempre sullo stesso argomento si rende insopportabile). Questo insieme di fattori viene accompagnato e alimentato dalla curiosità con cui osserviamo le cose, dall’irriverenza se la possediamo, dalla sensibilità con cui viviamo e assistiamo agli eventi e, ciliegina sulla torta, dalla dissacrazione del comune pensare e dei tabù. L’ironia come espressione anarchica? E’ senza dubbio un suo limite, ma essa definisce la sintesi dell'essere anarchici: "meglio darsi delle regole, prima che altri ci impongano le loro". Una cultura ristretta fa sì che le regole del gioco, qualunque sia il gioco, vengano intese in un modo così rigido da cancellare ogni aspetto coraggiosamente innovativo. L'ironia è certamente innovazione. L’ironia è linguaggio sciolto e spregiudicato. L’ironia è dei geni del pensiero, degli scrittori raffinati, ma anche del linguaggio popolare e popolano. Il linguaggio tecnicamente perfetto usato in informatica è reiterazione, formalità, staticità e omologazione, è limitazione e inibizione dell’ironia. Il linguaggio cosmopolita, sottoposto a reciproca correzione (ognuno si diverte a dimostrare miglior competenza linguistica dell'altro), non sarà mai in grado di sostenere l’ironia, esso la debilita perché limitato nei vocaboli ed appreso per imitazione. Imitare i comportamenti degli altri, ripetere le stesse cose ascoltate, è una forma di insicurezza, di spersonalizzazione e di manifesta inferiorità. L’assenza di ironia nega e deprime il nostro essere unici, lasciando campo libero a ogni forma di rigidità. La rigidità nel campo della progettazione di elementi tecnici renderebbe vana ogni ricerca di nuove funzionalità. In campo artistico vuol dire solo stanchezza e noia e mi sembrerebbe assurdo pensare a Courbet, Modigliani, Dalì, come individualità che non facessero dell'ironia un’arte. Chi non ricorda Achille Campanile come maestro di vita e d'ironia? Chi ha dimenticato Ennio Flaiano? Per costoro l'ironia era un’arma contro chiunque si cullava sulle certezze dell'ignoranza. Ho conosciuto persone che fanno dell'ironia sui malanni o sulla paura della morte. Ecco, è questo, l’aspetto nitido e affascinante dell’ironia: essa è come un “ombrello” che ci ripara dalle paure. Sopra: un libro dello scrittore portoghese Saramago, le cui opere ironiche sul cattolicesimo fanno scalpore.