PENSIERI RAPIDI: Il capitalismo digitale

PENSIERI RAPIDI: Il capitalismo digitale

PENSIERI RAPIDI: Il capitalismo digitale

Erano gli ultimi giorni di febbraio, esattamente tre anni fa, e tutte le testate giornalistiche nazionali riportavano in prima pagina la notizia con toni allarmistici: iniziava a diffondersi anche tra i cittadini italiani il Coronavirus, fino ad allora ritenuto un “virus cinese” che stava innescando un’epidemia come altre già osservate in tempi recenti, la cui diffusione (speravano gli europei) non avrebbe probabilmente superato i confini del continente asiatico. Ai primi di marzo 2020 invece l’Organizzazione Mondiale della Sanità diffuse un comunicato in cui sottolineava la rapida diffusione del Covid-19 in oltre 100 Paesi e per questa ragione estendeva l’invito a considerarla una vera e propria pandemia (epidemia mondiale). Dopo circa un anno e mezzo di drammatica crisi sanitaria, a tratti rallentata dalle misure di contenimento del contagio e dall’implementazione delle campagne vaccinali nei Paesi ad economia capitalistica avanzata, si iniziò a diffondere il termine "Sindemia" per indicare come i livelli di incisività e diffusione dell’agente infettivo dipendessero anche dalle caratteristiche sociali, economiche ed ambientali proprie del contesto e dalle specificità dei soggetti su cui attecchiva. La illuminata americana Donna Haraway definisce questo aspetto "dimensione naturalculturale" ovvero, l'espansione del virus è causata dalla distruzione dell'ecosistema prodotta dallo sviluppo capitalistico globale. Questo aspetto legato alla pandemia è diventato dogmatico anche per la politica seria (quella fuori dalla comunicazione di propaganda), ma nonostante i costi sociali ed economici che questa crisi ha determinato, tutte le scelte politiche sono state orientate alla salvaguardia del sistema produttivo così catastrofico come lo conosciamo, senza ripensarlo minimamente. Non solo, il controllo della pandemia attraverso misure varie e vaccini, ha fatto un corso tale, da giustificare "politicamente" l'esclusione dai bilanci di ogni misura di prevenzione per altri possibili virus futuri. In Italia, ad esempio, il maggior numero di mortalità lo si è avuto nelle regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, dove lo Stato ha portato avanti una privatizzazione alla cieca del Servizio sanitario nazionale (tra affarismi e lottizzazioni) e, per paradosso, il maggior numeri di morti lo si è avuto proprio in quelle aree dove la presenza industriale è maggiore, dove il reddito procapite nazionale è più alto, e dove l'accesso facile alla sanità privata si era vantato dei numeri altissimi di prevenzione medica. Quindi le cause dei decessi per la pandemia Covid 19 sono strettamente legate alle condizioni del vivere sociale e all'uso sprezzante del territorio da parte del capitalismo aggressivo. Ma in che modo la pandemia, che abbiamo vissuto, ha impattato sulle governance, sui comportamenti dei singoli cittadini e su quelli collettivi? Ho letto il volume: La società della prestazione, anno 2017, di due sociologhi Federico Chicchi e Anna Simone, e ascoltato alcune loro recenti interviste. Grazie ad essi mi sono convinto che il loro punto di vista: “Il soggetto imprevisto che scombina gli ordini discorsivi e i dispositivi del tutto previsto”, ovvero come il Covid ha buttato all'aria la programmazione economico-finanziaria degli anni 2020 e 2021 così un elemento, oggi imprevedibile, sarebbe l'unico rimedio contro gli occhi bendati della politica, legata al solo profitto finanziario e a scapito del sistema ecologico e di tutto ciò che è umanistico. Cosa sarà questo elemento? Una catstrofe naturale? Una guerra? Sono domande che resteranno tali, o sono già piene di risposte? Sta ccadendo di tutto, ognuno di noi ha una risposta, e sembra davvero impossibile che in condizioni normali il sistema di vita determinato dalle leggi del mercato e del consumo iperattivo, siano mutabili. La sospensione della routine ordinaria nel 2020 avrebbe duvuto aprire uno spazio politico e un tempo utili per ripensare il senso dello sviluppo capitalistico, invece in breve tempo, il sistema è stato in grado di riorganizzarsi e proseguire sulla strada della neoliberalizzazione trovando il modo di negare le sue responsabilità di fronte alla tragedia di 198000 morti concentrati sull'Italia più industrializzata. E' stata usata la paura in ogni strato sociale per stabilire, attraverso l'incremento "costretto" del digitale, una ulteriore spinta ai consumi. Nel settore auto assistiamo inermi al paradosso dell'abbandono dei motori a scoppio tradizionali e inquinanti, per motori elettrici che sono si, meno inquinanti, ma per produrre energia elettrica e le batterie indispensabili, si distruggeranno ancora maggiori risorse planetarie. Tempo addietro ho scritto sul senso di impotenza che ci attanaglia, verso una maggiore attenzione ecologica. Nel caso dell'auto elettrica, e con la semplice speculazione sull'emotività della gente, assistiamo impotenti alla creazione dal nulla di un nuovo immenso mercato che diventerà anch'esso distruttivo. Le grandi sperimentazioni utilizzate in condizioni straordinarie, e di necessità (urgenza ed emergenza), non sono fini a se stesse, ma lasciano dei segni che modellano un mutamento che genera una nuova dimensione di normalizzazione dell’eccezione. Ovvero misure di emergenza provvisorie che diventano stabili, immodificate, normali, che limitano o modificano le carte costituzionali degli Stati democratici. La mia generazione, che ha vissuto il meglio delle democrazie europee, nate nel dopoguerra, della più tragica delle guerre (la seconda guerra mondiale), sta assistendo anche alla loro agonia. L'aggressività e la potenza dell'utilizzo dei dati (raccolti e sempre alimentati dall'uso degli strumenti tecnologici di ognuno di noi) da parte del capitalismo digitale genera una condizione irreversibile di vulnerabilità collettiva. Sopra: il primo cellulare "veicolare"