PENSIERI RAPIDI: LA VIRILITA' E LA GUERRA
Pensieri rapidi: la virilità e la guerra
Ricordo perfettamente i miei pensieri nella
diatriba violentissima, eravamo nel 2001, tra Bush e Bin Laden, essa fu un
grande insegnamento. Si accusavano reciprocamente di terrorismo usando le
stesse immagini, del bene e del male, Dio e Satana e pensavo: siamo così sicuri
che questa logica dell’interscambio tra bene e male sia estranea a quello che
accade nelle logiche di potere del vivere quotidiano? Questa logica di guerra e di terrorismo è davvero estranea
dal nostro modo di vivere i conflitti tra individui? La pena di morte, e tante
altre punizioni, sono parte del nostro intendere: “occhio per occhio” o “dente per
dente”. Occorre fare un preambolo: la legge del “taglione” ha una sua natura arcaica
e trascina con se molte considerazioni. Prima questione: dire no alla guerra oggi,
significa due cose: non ignorare che le guerre sono state sempre uno strumento
di dominio, ed anche l'origine del suo contrapposto, ovvero le lotte di liberazione.
Seconda: riconoscere nello stesso tempo, alla luce di nuove consapevolezze, che
le guerre e le loro tragiche conseguenze sulla popolazione civile, hanno anche
impedito di affrontare a fondo i conflitti, di risalire alle cause dell’odio
che le muove, di prevenirle, di creare le condizioni per una migliore
convivenza umana. Terza questione: ci sono stati tanti e straordinari cambiamenti nella
storia dell’umanità, perché non dovrebbe cambiare anche l’idea di ciò che è
“reale” è “possibile”? Molto è cambiato e tutto cambia meno che alcuni modelli
virili socialmente autorevoli. Si nasce da un corpo femminile, ma la
separazione da esso ha necessità di diverse forme di iniziazione, un
addestramento a nuovi codici di appartenenza che facilitano il passaggio dalla
famiglia alle comunità sociali dei nostri simili, come l’esercito e la chiesa. Quarta questione:
quando le donne hanno cominciato a scostarsi dal posto in cui sono state messe,
svilite o esaltate immaginariamente, anche la collocazione dell’uomo ha perso i
suoi contorni definiti e indiscutibili. Quinta questione: la libertà, di cui ha creduto
di godere la comunità storica maschile, svincolandosi dalle condizioni prime,
materiali, della sua sopravvivenza, ha mostrato impietosamente la sua
inconsistenza, portando allo scoperto un retroterra fatto di fragilità, paure e
insicurezza. Da queste considerazioni arriviamo a definire la funzione della guerra:
essa riporta a un ordine patriarcale ogni volta è ritenuto in declino. La guerra è complessa. Come è già capitato più volte nella storia, ha più forme: quella domestica dei
femminicidi e quella sociale delle armi. Da una parte tornano a esserci donne
e bambini, “madri e mogli” a cui dare rifugio e protezione e su cui versare lacrime e
fiumi di retorica politica, dall’altra la chiamata degli uomini al coraggio
virile delle armi, compresi quelli che forse non lo vorrebbero, ma sono
trattenuti, dalla paura di rinunciare ai benefici di un potere millenario o di
essere considerati dei “rammolliti”. Questa visione della guerra ci riporta a un pensiero di
Freud, che sulla violenza dice: <<Non ultima per importanza è la
riflessione su una violenza che ha le sue lontane, ma durature radici, nel
dominio e nella cultura patriarcale, in quella differenziazione originaria che
ha visto il sesso maschile sottomettere il sesso diverso come “nemico”,
escluderlo dal governo del mondo, cancellarlo come individualità, sfogare su
di lui la propria aggressività, sfruttarne la forza lavorativa senza
ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui
nel possesso dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturarlo, ucciderlo>>.
Il copione della virilità, destinato a ripetersi quasi senza variazioni nel
corso di una vita, poteva contare in passato su attori e ruoli noti già
nell’ambito famigliare, figure parentali irrigidite da obblighi, doveri,
rituali domestici, distribuzione di poteri, visibilmente in sintonia con le
strutture portanti della vita pubblica. Patriarchi contadini, abbrutiti
dall’alcolismo, non riscuotevano per questo minore obbedienza e rispetto di altri capi famiglia. L’Italia
fascista ha fatto scuola. Nel dopoguerra i ragazzi venivano picchiati nelle scuole private dal
personale scolastico sospinto dalle regole violente della coalizione fascio/cristiana, stessa cosa nelle case
dei ricchi perché convinti della necessità della disciplina e, ancor più in quelle dei
poveri, che non volevano sentirsi inferiori ai precedenti. Tutto sembra cambiare, ma questo patriarcato
resta eterno per il suo coinvolgere una potente fisicità, e una retorica aberrante della violenza come "antidoto" alle diversità. Nessun “ordine” come
questo, ci piaccia o no, è potuto durare così a lungo, resistere alle
discontinuità della storia, e galleggiare tranquillo agli assalti delle nuove generazioni.