PENSIERI RAPIDI: L'ironia ai tempi del cosmopolitismo

PENSIERI RAPIDI: L'ironia ai tempi del cosmopolitismo

PENSIERI RAPIDI: L'ironia ai tempi del cosmopolitismo
Per fare dell’ironia bisogna avere una certa padronanza del linguaggio, o del gesto (per noi sabini il gesto è importante, è sempre a fianco della parola). Diciamo, padronanza del linguaggio in senso lato, e quindi la cultura è essenziale. Una cultura ristretta fa sì che le regole del gioco, qualunque sia il gioco, vengano intese in un modo così rigido da cancellare ogni aspetto coraggiosamente innovativo. Conoscere, "governare" un argomento è condizione necessaria per modificarlo imprevedibilmente e sorpendentemente ai nostri interlocutori. In ambito scolastico, per esempio, può essere significativo, mentre un professore fa lezione, che uno degli allievi si alzi per dichiarare: «Però, io la penserei diversamente». Ecco, il pensare diversamente può essere conseguito in modo ironico, e guai se la scuola non è più la zona dove l’ironia ha questo diritto di risiedere. E non è comunque bene che l’ironia venga utilizzata da coloro che rimangono delusi dalla rigidità delle istituzioni? Il legame con la cultura è essenziale, l’ironia su cosa gioca? Sul fatto che una parola, che noi solitamente impieghiamo in una certa accezione standard, venga usata in una accezione un po’ diversa. E questa è una cosa molto divertente e innovativa. La padronanza del linguaggio e dei significati è ineliminabile. Chi studia una lingua nazionale senza addentrarsi negli usi locali, dove una parola si presta a significati diversi sia da sola che associata ad altre parole, va incontro a sorprese e fraintendimenti. Un linguaggio scarno e ripetitivo come quello dell'informatica è contro ogni forma di ironia. La rigidità del linguaggio è cruciale per tutte le situazioni in cui essa limita i concetti di cui ci stiamo occupando. La rigidità nella scuola, per esempio, è letale per tuttii tipi di formazione. L'assenza di flessibilità nella ricerca scientifica alla fine uccide la ricerca stessa. La rigidità in campo artistico vuol dire solo stanchezza e noia. Possibile che Degas o Picasso non fossero ironici? E come potrebbero esistere i grandi umoristi? Ho in mente due nomi di grandi maestri dell'ironia: Ennio Flaiano e Achille Campanile. Entrambi irriverenti ed innovativi, erano affascinati da tutte le principali lingue europee, ma le loro frasi epiche erano in un italiano dal linguaggio schietto e tagliente condito dai loro dialetti di origine molti simili (l'abruzzese per Flaiano e il ciociaro del nord Lazio, per Campanile). Storicamente, molto più indietro, fu rivoluzionaria l'ironia nel teatro di Shakespeare, dove il suo Amleto, difronte a grandi massacri, era solito esibirsi in una miriade di battute ironiche. Oggi difficile essere ironici, i nostri sistemi di comunicazione basati sulla rapidità limitano chi è dotato di capacità ironica. Gli strumenti elettronici che usiamo, i loro correttori, i loro traduttori, nella pratica dissuadono noi utenti da ogni forma di ironia (ci comprendiamo poco e solo usando frasi scarne). E' in uso una buona padronanza di più lingue, ma si disconosce la profondità e le finezze di una lingua usata sul territorio, con varianti tali da consentire sensibilità di espressione, e di comunicare concetti complessi. Il cosmopolitismo, così di moda in tutto il mondo, usa un linguaggio privo di ogni forma di ironia, perché l'impegnativo uso di 4-5 lingue diverse, mina la padronanza delle parole e di conseguenza dei concetti espressi. L'effimero fascino del cosmopolitismo evita con elegante sapienza, di tenere conto della precisione linguistica. Esso si sofferma sul significato del termine, ed elude sistematicamente l'aderenza alla variabilità dei significati, quando questo vocabolo viene utilizzato con parole diverse. E' così, che abbiamo la precisione del termine che mortifica quella dei concetti. Saper ordinare un pollo fritto in 5 lingue diverse è straordinario (anche se mangi sempre lo stesso pollo), ma è odioso passare intere serate, o cene tra amici, dove il conversare staziona unicamente nel reciproco correggersi dei termini in questa o quella lingua (ognuno sottintende, pur se elegantemente, questa lingua la conosco meglio di te). In pubblico è impossibile ironizzare, saremmo fraintesi e rischieremmo l'incolumità, perché l'inglese che viene usato è costituito da pochissimi vocaboli e da tutti reiterati con la stessa rigidità e pesantezza. Questo cosmopolitismo è seduttivo e vincente, ma ha grossi limiti legati alla limitatezza della sua capacità di comunicare. Osservandolo bene è a suo agio nei suoi "non luoghi" di grossa frequentazione: aeroporti, hotel, ristoranti, musei, ed altro, dove nessuno fa più caso all'omologazione dei comportamenti, all'esibizione che ognuno fa al momento, alle relazioni fuggenti che si stabiliscono in quel breve apparire pubblico. Resta noioso, insufficiente, inadeguato, addirittura irreale, quando viene esibito o ostentato nelle sfere del privato. Essere ironici in pubblico sarebbe dire e fare cose diverse da tutte quelle che fanno gli altri. Un modo veloce per essere antipatici a chiunque, e per attirare l'attenzione delle security, perché essere creativi oggi crea sorpresa più di quanto sia accaduto nei secoli passati, essere ironici vuol dire essere irriverenti e questo è poco compreso e per nulla sopportato. Senza titolojpeg