RIENTRARE IN UNA CHIESA E LA NOSTRA EDUCAZIONE

RIENTRARE IN UNA CHIESA E LA NOSTRA EDUCAZIONE

Rientrare in una chiesa e la nostra educazione
Ho avuto una triste occasione di tornare dentro una chiesa per un rito funebre e il risultato è stato sconcertante! Il rito? un vuoto delle parole e tre maschi colorati come pavoni recitanti, pagati da uno Stato che è tale solo con chi ha un potere di scambio. Tanta compostezza verso il luogo, verso la liturgia, e poca verso il defunto e ancor meno per l'umano soffrire. Tutto si svolge in un silenzio assordante e, "per fortuna", Dio è Buono, Dio ci salva, Dio ci assiste, Dio è grande e San Barnaba in questi giorni incontrò San Paolo, "compagno di merende" che si era smarrito sulla strada di Damasco. Questa percezione la dice lunga sui contenuti educativi della nostra infanzia. Anche in questa occasione ero intimidito! Volevo salutare una persona cara che era con me, ma non riuscivo a congedarmi ed andarmene liberamente con il mio normale modo di essere. Questa chiesa e queste ottime individualità, spersonalizzate dal rito liturgico,  e "sponsorizzate" dalla mia catechizzata educazione, hanno costituito una forza che mi ha impedito, vietato, un modo personale di congedarmi. La voce sussurrata al mio orecchio ha avuto la potenza di chi si sente dalla parte della ragione senza dubbio alcuno. Una ragione dogmatica. Nonostante il non luogo, due celebranti cariatidi e un terzo impostore per opportunismo, l'amica laica in lutto, ha avuto la totale certezza di essere dalla giusta parte. Si è sentita "eretta" non per rispetto della defunta e del suo personale dolore a cui la mia presenza era riferita, ma al luogo, all'istituzione, alle cariatidi che reiteravano il nulla. Posizione sostenuta da una cultura "appartenente" senza volere o saper di appartenere. Ha sentenziato energicamente: "non puoi farlo". In una situazione di lutto dove lo spirito umano genera pensieri e uomini fragili, un'onesta individualità ha offerto facile alleanza al sempiterno insudiciare che le organizzazioni clericali fanno della spiritualità umana. Insomma è sempre in discussione il diritto di essere noi stessi. Essere me stesso è essere "Woke" direbbe la giornalista americana Caroline Fourest. (Rivista laica Nessun Dogma). Di che diritto parliamo? Essere “woke” è una scelta, un approccio, con cui si ha il diritto di essere d’accordo o in disaccordo, di cui si deve dunque poter dibattere. Chi mi conosce mi definisce per qualcosa o qualcuno, ma qui occorre un autodefinirsi completo. Pur non essendo responsabile della mia nascita, né del luogo dove sono nato, io sono un woke. Ovvero quello che mi definisce sono le mie idee e i miei comportamenti, non ho appartenenze, non seguo modi altrui, non vedo la TV, non ho auto storiche da esibire, non seguo mode, non ho credi, non metto like. Sono eterosessuale, femminista (pur essendo certamente un maschio), radicale, antirazzista, laico, ho in considerazione il dolore umano, anche quello degli altri, sono radicalmente legato all'uguaglianza e alla libertà, soprattutto quella di espressione. Non sopporto la catalogazione delle persone, l'attribuzione di un valore in denaro alle persone, agli animali e di far pagare le tasse a chi ha troppo poco per vivere. Non sopporto l'attribuire loro idee o comportamenti a causa della loro origine, del loro sesso, dei loro costumi sessuali e della loro età. Non sopporto che nel nome dell'ineluttabilità pubblica o privata i miei diritti civili e la mia dignità vengano meno. La "società fluida" di Bauman è la mia direzione o, meglio ancora, l'indirizzo dei miei pensieri/comportamenti sul sociale. Mi immedesimo nel "pensiero nomade" di Nietzche, o posso essere un "Rizoma" di Deleuze. Sono poco identificabile, non faccio rumore inutile, calpesto solo quello che è calpestabile senza danno. Perché nella società italiana è sempre una lotta per non farsi prevaricare? Da un'attenta analisi dei media, oggi in Italia dominanti, vedo una situazione allarmante su alcuni argomenti. Quando si tratta di violenza in genere, e della laicità in genere, di opposizione all'invadenza del clero, dell'uguaglianza e quindi della giustizia, i giornali di destra restano contro ogni forma di libertà individuale e quelli di sinistra sono assolutamente reticenti per paura di favorire la destra. Essere nell'associazione UAAR è eroico, difficile, consapevole delle sconfitte a cui si va incontro, per un minimo di uguaglianza civile. Anche il giornale Il Foglio, certamente conservatore, ma fatto da buoni giornalisti, scivola frequentemente all'insegna dell'integralismo cristiano, antiabortista, ecc. Non ci crederete ma anche i cruciverba della settimana enigmistica, che io adoro, sono intrisi di sessismo, fideismo, e stupidità di mercato. Questo mio essere, ripensato all'interno di una chiesa, mi ha fatto temere come in passato, un difficile avvicinamento, come se croci e liturgie insieme, restassero, limitanti e persecutorie.  Le derive culturali di cui discutevo negli anni Ottanta, poi negli anni Duemila, sono le stesse di oggi accompagnate da un un revisionismo storico organizzato e scandaloso. Non è solo preoccupante che un giornale di destra citi minoranze radicali in maniera intimidatoria, o che sui social si scatenino i peggiori istinti, ma lo scandalo è che pochi ci facciano caso. Avviene che ogni avanzamento sociale è ostacolato magistralmente e integralismo/identitarismo fanno ancora quello che vogliono di coloro che lottano per conquiste civili, che ancora oggi anno 2022, sembrano impossibili. Vedo l’arte, che sia cinema, o letteratura, musica o altro, subire una forte pressione soprattutto via social. Una spinta conservatrice che viene usata per evitare di trattare certi argomenti, in maniera contraria agli standard del “politicamente corretto” e per negare visibilità e rappresentanza a categorie discriminate o minoritarie. Il risultato è che gli artisti tendono sempre più ad autocensurarsi per evitare grane (tengono famiglia). Ogni forma di progressismo si muove nella morsa tra le destre reazionarie e populiste e il martello oltranzista delle minoranze identitarie. Tutto è fermo come 50 anni fa, con la secolare questione di tenere i cleri lontani dall'educazione dei figli. Sopra: il cimitero di San Michele a Venezia