RIPENSARE ME STESSO
Ripensare me stesso.
Il Covid, la segregazione, le brutture, la guerra e gli orrori di essa sono puntualmente presenti nella vita degli uomini. In questa fase di inasprimento delle brutture metto attenzione agli ecologisti, agli specisti, agli alternativi, ai vecchi idealisti, alla mia decadenza, agli animali, alle sessantenni che ancora cercano strati di oggettiva bellezza mancata in troppe occasioni. Nel frattempo dipingo affetti e luci, e continuo i miei studi di schizzata sociologia con assoluto estremismo. Nessun uomo normale, modaiolo e di interessi definiti potrebbe capire il dolore per le occasioni perse dalla mia generazione, ho vissuto nella logica di un ego libero, nella sua disorganizzazione sistematica. Tuttavia rivendico questo stato di cose, le adoro, sono emozionanti, intercetto anche l'inescrutabile e molto prima degli altri. Il mio dolore per chi vive male e che con pochissimo potrebbe essere felice, la mia devozione verso le donne madri e lavoratrici e casalinghe e amanti e che trovano il tempo anche per girare il mondo, l'amore per chi cresce e si migliora, il mio dolore per chi viene schiavizzato perché più debole, sono solo alcune idee ossessive dell'eterno dramma di un'umanità mancata. E' quel mio essere "un vivente" che impiega una vita per capire la sua natura che era facilmente scrutabile già da adolescente. Le mie idee sulla psicanalisi sono secondarie e spesso approssimative ma mi tengono alto il livello di attenzione verso gli altri e basso il senso di immortalità che tanto attrae gli umani. Cerco di capire come siamo in ogni tipo di relazione di potere con cui entriamo in contatto. Cerco di estrarre concetti da una parte della conoscenza per trasferirli in un'altra, pur sapendo che nove volte su dieci questa operazione è un fallimento. Può sembrare una cosa da poco, ma i transfert concettuali dalla filosofia e dalla psicoanalisi alla vita reale non sono affatto scontati, anzi spesso diventano traumatici. Passare dalla soggettività all'oggettività è impresa epica e spesso infelice. Ad esempio io sono convinto che la poesia sia come una medicina, dovrebbe essere prescritta, oggi questa, domani quella, la successiva a colazione, eppure, nonostante io la consideri così importante, mi succede molto raramente di leggere qualche verso. Il punto non è che non ho occasioni per farlo ma che queste mi sfuggono e poi mi dico: è andata. Stessa cosa per la musica: è altrettanto fondamentale, ma può capitare persino che per intere settimane mi dimentichi della sua esistenza. Il film sul Tintoretto? Grande convinzione che era da non perdere, anche se per soli tre giorni nelle sale, e giù, tante imprecazioni per averlo mancato. Tutto questo nel privato ma sul lavoro, ancora peggio. L'azienda che mi pagava negli anni 2012-2018, specialista in robotica, erano li a darmi del pericoloso, del pazzo furioso, facevo spendere troppi soldi in prototipi che piacevano a tutti e soprattutto al management. Tutto questo crea problemi e allora ho ricominciato da capo in una dialettica annegata nella moderazione. Un atteggiamento più libero in una specie di stato di grazia tra essere visionario e realista insieme. Smetto l'ossessività di capire e lascio fare di più agli altri, mi impegno in attività libere e sfuggo a qualsiasi cosa somigli ad un'analisi di persone o di macchine. Oggi quando qualcuno comincia un'attività con me, personale o lavorativa, io insisto che la cosa più importante è che la faccenda funzioni. La regola prima, per le due parti, è che ognuno è libero di recedere in ogni momento. Le cose o funzionano oppure vanno interrotte. Se io non miglioro la vita di una donna è bene che lei se ne vada altrove. Se io non produco un'innovazione che diventi redditizia è inutile proseguire. Ho costruito una vera gabbia per le idee, gli impedisco ogni forma di esposizione celebrativa e cerco di apprendere gli equilibri di chi vive, per sua natura, un sano pragmatismo. Tutto questo con gli accaduti degli ultimi mesi già non basta più. Oggi è potente come un uragano l'esigenza di ripensare, per l'ennesima volta me stesso.
Il Covid, la segregazione, le brutture, la guerra e gli orrori di essa sono puntualmente presenti nella vita degli uomini. In questa fase di inasprimento delle brutture metto attenzione agli ecologisti, agli specisti, agli alternativi, ai vecchi idealisti, alla mia decadenza, agli animali, alle sessantenni che ancora cercano strati di oggettiva bellezza mancata in troppe occasioni. Nel frattempo dipingo affetti e luci, e continuo i miei studi di schizzata sociologia con assoluto estremismo. Nessun uomo normale, modaiolo e di interessi definiti potrebbe capire il dolore per le occasioni perse dalla mia generazione, ho vissuto nella logica di un ego libero, nella sua disorganizzazione sistematica. Tuttavia rivendico questo stato di cose, le adoro, sono emozionanti, intercetto anche l'inescrutabile e molto prima degli altri. Il mio dolore per chi vive male e che con pochissimo potrebbe essere felice, la mia devozione verso le donne madri e lavoratrici e casalinghe e amanti e che trovano il tempo anche per girare il mondo, l'amore per chi cresce e si migliora, il mio dolore per chi viene schiavizzato perché più debole, sono solo alcune idee ossessive dell'eterno dramma di un'umanità mancata. E' quel mio essere "un vivente" che impiega una vita per capire la sua natura che era facilmente scrutabile già da adolescente. Le mie idee sulla psicanalisi sono secondarie e spesso approssimative ma mi tengono alto il livello di attenzione verso gli altri e basso il senso di immortalità che tanto attrae gli umani. Cerco di capire come siamo in ogni tipo di relazione di potere con cui entriamo in contatto. Cerco di estrarre concetti da una parte della conoscenza per trasferirli in un'altra, pur sapendo che nove volte su dieci questa operazione è un fallimento. Può sembrare una cosa da poco, ma i transfert concettuali dalla filosofia e dalla psicoanalisi alla vita reale non sono affatto scontati, anzi spesso diventano traumatici. Passare dalla soggettività all'oggettività è impresa epica e spesso infelice. Ad esempio io sono convinto che la poesia sia come una medicina, dovrebbe essere prescritta, oggi questa, domani quella, la successiva a colazione, eppure, nonostante io la consideri così importante, mi succede molto raramente di leggere qualche verso. Il punto non è che non ho occasioni per farlo ma che queste mi sfuggono e poi mi dico: è andata. Stessa cosa per la musica: è altrettanto fondamentale, ma può capitare persino che per intere settimane mi dimentichi della sua esistenza. Il film sul Tintoretto? Grande convinzione che era da non perdere, anche se per soli tre giorni nelle sale, e giù, tante imprecazioni per averlo mancato. Tutto questo nel privato ma sul lavoro, ancora peggio. L'azienda che mi pagava negli anni 2012-2018, specialista in robotica, erano li a darmi del pericoloso, del pazzo furioso, facevo spendere troppi soldi in prototipi che piacevano a tutti e soprattutto al management. Tutto questo crea problemi e allora ho ricominciato da capo in una dialettica annegata nella moderazione. Un atteggiamento più libero in una specie di stato di grazia tra essere visionario e realista insieme. Smetto l'ossessività di capire e lascio fare di più agli altri, mi impegno in attività libere e sfuggo a qualsiasi cosa somigli ad un'analisi di persone o di macchine. Oggi quando qualcuno comincia un'attività con me, personale o lavorativa, io insisto che la cosa più importante è che la faccenda funzioni. La regola prima, per le due parti, è che ognuno è libero di recedere in ogni momento. Le cose o funzionano oppure vanno interrotte. Se io non miglioro la vita di una donna è bene che lei se ne vada altrove. Se io non produco un'innovazione che diventi redditizia è inutile proseguire. Ho costruito una vera gabbia per le idee, gli impedisco ogni forma di esposizione celebrativa e cerco di apprendere gli equilibri di chi vive, per sua natura, un sano pragmatismo. Tutto questo con gli accaduti degli ultimi mesi già non basta più. Oggi è potente come un uragano l'esigenza di ripensare, per l'ennesima volta me stesso.