VENTISEI ANNI SENZA TV, VOGLIO FESTEGGIARE

VENTISEI ANNI SENZA TV, VOGLIO FESTEGGIARE

Ventisei anni senza Tv, voglio festeggiare.
Accadde nel 1994, in occasione del mio trasloco in altra abitazione a seguire una sentenza di separazione, che decisi di non dotare il nuovo domicilio di un telvisore e anche della relativa antenna. Nel tempo mi è spesso sovvenuta la domanda sul perché di questo mio rifiuto dell'elettrodomestico che piace tantissimo agli italiani, e le risposte sono state molteplici e convincenti. Con il passare degli anni anche domandarmi è passato di moda, ma ogni volta che, a casa di amici, al bar, in pizzeria, capito difronte alla sempiterna emittente mi arrivano da sole tremila risposte e tutte a sostegno della mia incompatibilità con la Tv. Una sicuramente è la troppa esposizione dei conduttori, un'altra l'autoreferenzialismo, (tu parli bene di me che io parlo bene di te, tra conduttori, ospiti ecc.). Un giorno nella pizzeria da Charlie ho minacciato di non pagare se la prossima volta mi mettono ancora difronte a TGCOM24 e le loro pompose "puttanate" reiterate. In realtà odio ogni tipo di  pubblicità e l'esibizionismo scambiato per notorietà. Odio l'appiattimento del tempo in senso cronologico sull'istante che si consuma febbrilmente e voracemente. Odio come la televisione si sia impegnata ad alimentare una visione “privatistica” della memoria rivissuta attraverso il familismo, l'aneddoto, il dettaglio insignificante, la convenienza individuale, il privato e di parte che diventa verità sbattuta inesorabile sui "guardoni" attenti ma soprattuto distratti. Il vero obiettivo della cattiva informazione e della pubblicità è lo spettatore disattento che ha abbandonato ogni forma di critica di quello che osserva. "Ma io la tele l'accendo ma l'intravvedo appena, ogni tanto l'ascolto mentre rassetto casa", quante volte ci è stato detto così. E' questo quello che occorre alla Tv e soprattutto alla pubblicità, uno spettatore passivo a cui far ronzare in testa questo o quel prodotto, questo o quel brand, questa o quell'idea delle cose o della storia. Quale contenuto viene divulgato invece meglio non parlarne. Tutto avviene all'interno di un modello di narrazione da talk show, basato sul dialogo salottiero e sull'intervista “in poltrona”. Avviene attraverso un racconto che deliberatamente ignora ogni riferimento alle fonti archivistiche, che rinuncia all'obbligo di provare le proprie argomentazioni o interpretazioni, che ricorre soltanto alle testimonianze degli “ospiti” con cui hanno concordato i contenuti. Capi, capetti, e autori prezzolati di via Mazzini nominati o assunti da potenti occulti per "formare" l'opinione pubblica. Gli obiettivi che inseguono, come gli scopi che di volta in volta intendono raggiungere, sono un esplicito tentativo di incidere sulla diffusione del sapere storico attraverso la “revisione” del giudizio sui principali eventi del nostro recente. Negli ultimi trent'anni ho assistito a vere e proprie falsificazioni di fatti determinanti la vita collettiva italiana. Quelli della mia generazione ricorderanno come il movimento studentesco degli anni Settanta fu ben presto asssimilato al terrorismo di Stato di quegli anni. Questo fu un fatto eclatante, un falso storico che noi padri facciamo fatica a spiegare ai nostri figli adulti. Un'intera generazione offesa proprio dai veri colpevoli delle stragi italiane che guarda caso erano i padroni di Piazza Mazzini. In tanti ricorderanno i mille spot al giorno: "privato è bello" preparavano le teste di noi alla più grande fregatura del mondo: le privatizzazioni dei servizi nazionali primari (energia elettrica, ospedali, gas, autostrade, ecc.), che oggi sono i peggiori e i più onerosi d'Europa. I morti di Covid 19 soprattuto in Lombardia gridano vendetta a questo capolavoro di imbonimento. Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta è stato costruito ad arte un senso comune schiacciato tra l'ignoranza dei fatti e l'adesione (non critica) alla rappresentazione di quei fatti, proprio dalla Tv di Stato pagata con le nostre tasse e più tardi ancora più sfacciatamente da quella commerciale. Tutto questo "insudiciamento" dei fatti spostò gran parte dell'elettorato italiano verso destra che portò alla fulminea elezione di Berlusconi e al suo ventennio che ha gettato la cultura italiana nel pozzo nero più profndo della nostra storia e lì oggi resta.